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Deposito Nazionale per i rifiuti radioattivi… la conoscenza ci porterà benefici inattesi

Scrivere o parlare di rifiuti radioattivi è sempre complicato a causa della mancanza di informazione e di alcuni pregiudizi che sono insiti in noi a seguito di eventi che hanno caratterizzato gli anni scorsi lo scenario mondiale.

L’argomento “rifiuti radioattivi” e la loro gestione, sottovalutata da alcuni, ignorata da altri, ingigantita da altri ancora, rappresenta di fatto una tematica di cui prima o poi si sarebbe dovuto tener conto nel nostro Paese, e che non poteva essere ulteriormente trascurata.

Basti pensare che mentre noi siamo ancora ad uno stadio embrionale, gli altri Paesi Europei hanno già affrontato, o lo stanno facendo, la questione di una gestione efficiente ed efficace dei loro rifiuti radioattivi.

Ma prima di procedere ed addentrarci nell’argomento è bene ricordare alcuni aspetti importanti:

  • L’Italia con un referendum nel 1987 ha sancito di non voler utilizzare l’energia nucleare per produrre energia elettrica, a seguito degli avvenimenti di Chernobyl;
  • L’Italia confina con paesi che producono, e vendono, energia elettrica derivante da fonte nucleare;
  • L’Italia, come gli altri paesi, è dotata di infrastrutture mediche e di ricerca che utilizzano sorgenti radioattive;
  • L’Italia è dotata di centri di ricerca, fra i quali quello dell’’Enea, che utilizzano reattori nucleari.

La premessa è importante ed è da tenere presente nelle prossime pagine per poter comprendere l’importanza della tematica e della sua risoluzione.

La necessità di realizzare un Deposito Nazionale sul suolo italiano, non è solo l’ennesima pressione che il nostro Paese subisce dall’Europa ma è soprattutto una precisa esigenza per risolvere un problema che per quanto ignorato di fatto esiste.

Non potendo più continuare a comportarci come struzzi, abbiamo il preciso obbligo di tirare fuori la testa dalla sabbia ed affrontare di petto il problema.

Purtroppo, ma questa sarà la mia visione lo ammetto, l’Italia ha un problema di non poco conto ossia quello di non voler mai affrontare i problemi e posticiparli a data da destinarsi. Tipico esempio ne è il SISTRI di cui abbiamo già parlato in altre occasioni, ma di esempi se ne possono ovviamente fare tanti.

Il problema dei rifiuti radioattivi però non è più posticipabile in quanto è necessario adottare delle soluzioni al fine di non gravare sulle prossime generazioni, ciò anche nel rispetto del principio fondamentale riconosciuto dall’AIEA (International Atomic Energy Agency) che riconosce, infatti, che è necessario non lasciare oneri indebiti alle generazioni future.

Rifiuti radioattivi – da dove provengono?

Con il decreto legislativo n.31 del 2010, modificato dal decreto legislativo n. 45 del 2014, viene affidato a Sogin, il compito di localizzare, progettare, realizzare e gestire il Deposito Nazionale e Parco Tecnologico.

Sogin è la società di Stato che sta anche portando avanti dal 2000 il decommissioning (smantellamento) dei vecchi impianti nucleari italiani.

Le definizioni sono ora d’obbligo per poter comprendere la dimensione di un problema, quale è la gestione dei rifiuti radioattivi, che noi italiani siamo chiamati a discutere e risolvere per il bene delle prossime generazioni.

Il Deposito Nazionale è un’infrastruttura ambientale di superficie dove sistemare definitivamente in sicurezza i rifiuti radioattivi prodotti in Italia, compresi quelli generati dalle attività di medicina nucleare, industriali e di ricerca.

Il Parco Tecnologico è invece un Centro di ricerca, da realizzarsi all’interno del Deposito Nazionale nel campo del decommissioning (smantellamento), della gestione dei rifiuti radioattivi e dello sviluppo sostenibile in accordo con il territorio interessato, che sarà aperto anche a collaborazioni internazionali.

Prima di descrivere come sarà il Deposito Nazionale è opportuno però soffermarsi qualche istante per dissipare alcuni dubbi che saranno di certo sorti in alcuni lettori: In Italia abbiamo rifiuti radioattivi?

Ebbene si, nonostante le nostre care centrali nucleari siano state spente, e oggi in fase di smantellamento, l’Italia produce rifiuti radioattivi. Ma questi non sono legati solo al ‘passato nucleare italiano’ capitolo ormai chiuso, ma anche ad altri impieghi in alcuni campi fondamentali e che al momento non sono bypassabili da altre tecnologie, in particolare:

  • Medicina;
  • Industria;
  • Ricerca.

Tre direttrici che continueranno in futuro a produrre rifiuti radioattivi.

Ciò vuol dire che fino ad oggi qualcuno se ne è occupato, ma in che modo? Anche in questo caso, citando “Lubrano” la domanda sorge spontanea e necessita di una risposta.

Ad oggi sono in funzione dei depositi temporanei dove i rifiuti radioattivi sono stoccati in attesa proprio che venga realizzato il deposito nazionale. Questi depositi però sono ormai vetusti, in alcuni casi non più conformi alle vigenti normative in materia ed il loro rinnovo costerebbe, nel medio – lungo periodo, molto più della realizzazione del Deposito Nazionale stesso.

Costruire, quindi, il Deposito Nazionale è necessario per poter mettere in sicurezza l’intero paese e dare una destinazione finale e stabile a questi rifiuti radioattivi.

Probabilmente qualche lettore è ancora scettico sull’effettiva produzione di questi rifiuti nel nostro paese. A tal proposito si ritiene utile cercare di inquadrare la dimensione del problema attraverso una panoramica generale.

Il settore sanitario, italiano ed ovviamente estero, produce rifiuti radioattivi nell’ambito della diagnostica, della terapia e della ricerca medica. La maggior parte di questi rifiuti radioattivi, quelli che hanno una vita molto breve (ossia tempi di dimezzamento dell’ordine massimo di pochi anni), dopo lo stoccaggio in depositi temporanei vengono smaltiti come rifiuti convenzionali, in quanto non rappresentano più un rischio dal punto di vista radiologico.

La restante parte, costituita dai rifiuti a bassa, media e alta attività richiede, invece, una soluzione più duratura con uno smaltimento in strutture idonee.

Vediamo alcune applicazioni sanitarie che producono rifiuti radioattivi:

Applicazioni diagnostiche

Varie sostanze radioattive sono utilizzate per diagnosticare alcune patologie, in quanto sono in grado di fornire informazioni utili all’elaborazione di immagini.

Una fra le principali tecniche è l’imaging molecolare, che permette di fornire immagini dettagliate del corpo umano e di quello che accade al suo interno.

Applicazioni terapeutiche

Alcune terapie utilizzano i radiofarmaci per distruggere le cellule cancerogene. Per la maggior parte i radiofarmaci sono composti da una piccola quantità di materiale radioattivo, detto radionuclide, combinata all’interno di una molecola che individua le cellule.

Alcuni radionuclidi hanno un’abilità naturale di concentrarsi sulle specifiche cellule o sui processi biologici, e non necessitano di essere combinate o modificate. Quando entrano nella circolazione sanguigna del paziente, i radiofarmaci si muovono e rilasciano le radiazioni direttamente nelle parti malate. La terapia molecolare è altamente selettiva nel colpire solo le cellule cancerogene, limitando l’esposizione della parte sana alle radiazioni.

Attività di ricerca in medicina nucleare

Alcune attività di ricerca medica impiegano la radioattività attraverso analisi di laboratorio finalizzate alla produzione dei radiofarmaci e alla definizione ottimale dei loro dosaggi. Ne sono esempio la RIA (Radio Immuno Assay); l’IRMA (Immuno Radio Metric Assay) e le analisi biologiche.

Anche in diverse attività industriali si utilizzano sorgenti radioattive sigillate, cioè materie radioattive racchiuse in un involucro protettivo. Per il loro utilizzo vengono impiegate le radiazioni proprie di questi materiali al fine di poter verificare la correttezza delle saldature, e la ricerca di difetti interni che in altro modo non potrebbero essere verificate, o almeno senza l’utilizzo di metodologie invasive.

Queste sorgenti, prevalentemente Cobalto 60 e Cesio 137, trovano applicazione in genere nell’industria cartaria, alimentare, automobilistica e aeronautica. Con la progressiva usura, non essendo più efficienti per gli scopi indicati queste sorgenti radioattive devono essere gestite e poi smaltite come rifiuti radioattivi.

In diversi settori della ricerca si utilizzano materiali radioattivi, principalmente: fosforo (P-32 e P-33), zolfo (S-35), trizio (H-3), carbonio (C-14), iodio (I-123), in forma non sigillata.

In particolare, nel settore biomolecolare, tali radioisotopi sono impiegati in operazioni, utili alla sperimentazione di nuovi processi, quali:

  • iodinazione di proteine e di cellule
  • prelievi eluati incubazione di tessuti in vitro mediante l’impiego di radioisotopi a vita media lunga (H-3 e C-14)
  • marcatura di proteine con amminoacidi e di cellule in coltura (S-35, H-3 e C-14)
  • marcatura di costituenti cellulari con Fosforo 32 (acidi nucleici e proteine)
  • elettroforesi su gel di poliacrilammide con l’impiego di nucleotidi marcati con P-32, S-35, H-3 e C-14
  • incorporazione di amminoacidi in proteine di cellule di microorganismi

Nel settore ambientale, per esempio, vengono svolte attività di radioanalisi con il carbonio, consistenti nella determinazione dell’attività di fotosintesi di microorganismi marini e lacustri prelevati a varie profondità nei mari e nei laghi.

Nel settore della ricerca biologica e biomedica, per esempio, vengono effettuate marcature di molecole organiche per la determinazione della loro presenza in cellule o in specifici substrati biologici.

Altre applicazioni industriali che producono rifiuti radioattivi:

  • Gammagrafia industriale: attività finalizzata ad evidenziare anomalie strutturali in materiali solidi di elevato spessore, utilizzando radiazioni con alta capacità penetrante, che consentono una visione radiografica delle parti interne.
  • Irraggiamento: tecnica utilizzata per la sterilizzazione biologica (prodotti medicali o derrate alimentari), e per la “stimolazione” delle sementi, al fine di ottenere una più alta germinazione o resistenza alle avverse condizioni ambientali.
  • Radiometria: applicazione utilizzata per misurare il livello, lo spessore, la densità e l’umidità dei materiali, oltre che nei rilevatori di fumo e nei gascromatografi.
  • Generatori di corrente: strumenti che sfruttano il calore prodotto dal decadimento radioattivo per attivare processi di tipo termoelettrico.

Come si può osservare le applicazioni mediche ed industriali al termine delle quali vengono generati rifiuti radioattivi non sono poi così lontane da noi, ed occorre tenerne conto.

Siti in cui sono presenti rifiuti radioattivi in Italia

Vediamo ora più da vicino quali sono i siti in Italia che necessitano di attenzione dal punto di vista dei rifiuti radioattivi.

Dopo il referendum del 1987 che ha sancito in Italia la fine del periodo di produzione di energia elettrica da fonte nucleare, le quattro centrali nucleari di Trino (Vercelli), Caorso (Piacenza), Latina e Garigliano (Caserta) sono state spente.

Nel 2000 Sogin ha iniziato il loro smantellamento insieme agli impianti Fabbricazioni Nucleari di Bosco Marengo (Alessandria) e ai tre impianti di ricerca sul ciclo del combustibile Eurex di Saluggia (Vercelli), Opec e Ipu di Casaccia (Roma) e Itrec di Rotondella (Matera).

Il decommissioning (smantellamento) di un impianto nucleare è un insieme di operazioni che riguardano, fra l’altro: il mantenimento in sicurezza, l’allontanamento del combustibile nucleare esaurito, la decontaminazione e smantellamento delle infrastrutture nucleari, la gestione e messa in sicurezza dei rifiuti.

Per terminare il decommissioning di questi impianti è necessario realizzare il Deposito Nazionale che consentirà, con il graduale conferimento dei rifiuti radioattivi, di liberare le aree dai vincoli radiologici restituendoli alla collettività per altri usi.

Nei deposito temporanei degli otto siti Sogin sono presenti ad oggi circa 15.000 mc di rifiuti radioattivi, e sul sito www.depositonazionale.it è possibile ritrovare anche la loro distribuzione nei vari siti. A tal proposito si segnala che l’attuale suddivisione in categorie non è da ritenersi valida anche per molto poiché grazie all’introduzione del decreto dei ministeri dell’ambiente e dello sviluppo economico, il 7 Agosto 2015, è stata definita la nuova classificazione dei rifiuti radioattivi. Ciò ovviamente non toglie che i quantitativi complessivi siano corretti, semplicemente vengono ridefinite le categorie di appartenenza dei vari rifiuti radioattivi.

Nell’immagine sottostante si riportano i siti presso i quali si producono e/o si stoccano rifiuti radioattivi sul territorio nazionale:

rifiuti radioattivi sul territorio nazionale

4 centrali in decommissioning (Sogin);

4 impianti del ciclo del combustibile in decommissioning (Enea/Sogin);

7 centri di ricerca nucleare (ENEA Casaccia, CCR Ispra, Deposito Avogadro, Sorin Site Management, CESNEF -Centro Energia e Studi Nucleari Enrico Fermi- Università di Pavia, Università di Palermo);

1 centro del Ministero della difesa CISAM (Centro Interforze Studi e Applicazioni Militari);

2 centri di gestione di rifiuti industriali (Alfa Acciai e Beltrame Acciai);

3 centri del Servizio Integrato in esercizio (Nucleco, Campoverde, Protex);

1 centro del Servizio Integrato non più attivo (Cemerad).

Come si può osservare il problema ha dimensioni di un certo rilievo e non possiamo pensare di ignorare ulteriormente l’argomento semplicemente perché non ci piace pensare che nel nostro orto venga realizzato un Deposito finale di rifiuti radioattivi.

Per quanto capisca l’idea del “non nel mio giardino” sono anche altrettanto convinto che da qualche parte nel nostro paese un deposito finale per questi rifiuti debba essere realizzato (nel rispetto ovviamente degli standard di sicurezza). Ciò è ancor più sostenuto dal fatto che non si tratta di rifiuti prodotti da altri paesi, ma che rappresentano la nostra produzione interna. Dobbiamo essere quindi responsabili e autonomi nella loro gestione non potendo pensare di demandare ad altri la soluzione del problema. E’ a questo punto che l’affermazione secondo la quale “temiamo ciò che non conosciamo” assume un valore rilevante. Infatti, nel momento in cui noi conoscessimo bene il problema, sia dal punto di vista ambientale, che delle quantità in gioco, che delle possibili soluzioni, allora potremmo iniziare a discutere in maniera civile, razionale ed organizzata delle ripercussioni, delle eventuali criticità progettuali, di soluzioni alternative ecc…

Ciò significa che nel momento in cui ci sarà la consultazione pubblica e tutti i cittadini saranno invitati a partecipare attivamente, sarà bene essere ampiamente informati sul problema per evitare atteggiamenti, frutto di disinformazione, e manifestazioni di propaganda nate con il solo scopo del mettere in evidenza il cosiddetto “spirito di contraddizione” tanto presente in Italia e che dà il meglio di sé quando occorre discutere razionalmente di questioni di un certo rilievo. Non è attraverso l’ostruzionismo che si risolvono i problemi in una società democratica e civile come la nostra, ma attraverso il dialogo ed il confronto poiché una soluzione deve essere ricercata ed applicata.

Anche questo, unito al primo problema tutto italiano, che ho sottolineato in apertura di articolo, rappresenta un tratto distintivo del nostro Paese il quale è in grado di bloccare per tempi “geologici” problematiche che invece andrebbero affrontate e risolte con lucidità e razionalità, ma soprattutto in tempi ragionevoli.

Il deposito nazionale

L’Unione Europea, con l’articolo 4 della Direttiva 2011/70, stabilisce che la sistemazione definitiva dei rifiuti radioattivi avvenga nello Stato Membro in cui sono stati generati.

Mentre in Italia siamo ancora nella fase dell’individuazione del sito idoneo dove realizzare il deposito nazionale, nel resto d’Europa strutture simili esistono o sono in fase di realizzazione.

 

Il deposito nazionale
Deposito Francese

Deposito Francese

Deposito Spagnolo

Deposito Spagnolo

La realizzazione di una struttura presso la quale smaltire definitivamente i rifiuti radioattivi però non è “semplice” come potrebbe sembrare in quanto, i rifiuti radioattivi possono essere suddivisi fra rifiuti a bassa e media attività, e alta attività. Tale classificazione, quindi, determina anche le modalità di smaltimento.

I rifiuti a bassa e media attività nell’arco di 300 anni raggiungono un livello di radioattività tale da non rappresentare più un pericolo per l’uomo e per l’ambiente e quindi possono essere smaltiti in un deposito di superficie.

Per quelli ad alta attività i tempi sono molto più lunghi (nell’ordine di migliaio di anni) e necessitano quindi di un deposito geologico di profondità.

I depositi temporanei che attualmente ospitano i rifiuti radioattivi non sono idonei alla sistemazione definitiva sia per la loro localizzazione in aree non idonee nel lungo periodo e sia perché progettati e realizzati per gestire in sicurezza rifiuti radioattivi solo per un periodo limitato di tempo. Il deposito nazionale caratterizzato da barriere multiple e costruito in un’area idonea assicura invece l’isolamento dalla radioattività per un periodo di almeno 300 anni.

Inoltre gli attuali depositi temporanei sono in parte già saturi, ormai realizzati da tempo e necessitano quindi di aggiornamenti in termini di infrastrutture e sicurezza. Tutto ciò richiede ovviamente degli investimenti.

Qualora la realizzazione del Deposito Nazionale fosse ritardata, tali investimenti ammonterebbero per ogni singolo deposito temporaneo, per gli adeguamenti, fino a circa 1 milione di euro l’anno, mentre per la costruzione di nuovi depositi temporanei fino a circa 15 milioni di euro.

Infine, e non può essere sottovalutato, l’Italia ha inviato in Francia e Regno Unito del combustibile nucleare esaurito da riprocessare i cui residui dovranno rientrare in Italia per la sistemazione definitiva.

Senza il deposito nazionale o con un prolungamento dei tempi, l’Italia si troverebbe di fronte alla necessità di pagare delle penali per centinaia di milioni di euro.

Per avere un ordine di grandezza, si stima che un ritardo di 10 anni comporterebbe un costo di circa 1 miliardo di euro.

Date quindi le necessità etiche e tecniche di realizzazione del Deposito Nazionale e fatte quindi le dovute premesse possiamo ora passare a dare uno sguardo più da vicino a questo progetto.

Il Deposito Nazionale si svilupperà su una superficie complessiva di circa 150 ettari comprensivi degli edifici di servizio e delle aree di rispetto, di cui circa 40 ettari destinati al Parco Tecnologico.

Il deposito di superficie per la sistemazione definitiva dei rifiuti di bassa e media attività, circa 75 mila metri cubi, sarà dotato di barriere ingegneristiche e naturali, sulla scorta delle esperienze internazionali e dei più recenti standard IAEA (il vantaggio di arrivare per ultimi). Saranno inoltre sistemati temporaneamente circa 15 mila metri cubi di rifiuti ad alta attività in attesa della loro successiva sistemazione definitiva in un deposito geologico di profondità.

La composizione dei 90 mila metri cubi di rifiuti radioattivi complessivi si distingue in:

  • 60% derivanti dalle attività di smantellamento degli impianti nucleari;
  • 40% derivante dalle quotidiane attività di medicina nucleare, industriale e di ricerca.

Si sottolinea che quest’ultimo 40% sarà destinato ad essere prodotto continuamente anche nel futuro, e che il deposito nazionale è progettato per poter accogliere i rifiuti radioattivi che verranno prodotti nei prossimi 50 anni.

Nell’immagine che segue il legame sinergico delle quattro barriere ingegneristiche.

Prima Barriera
1 I rifiuti radioattivi a bassa e media attività saranno condizionati con matrice cementizia e verranno trasportati presso il Deposito Nazionale all’interno di contenitori metallici.
Seconda Barriera
2 I contenitori metallici saranno inseriti all’interno di moduli e cementati con calcestruzzo speciale (3 m X 2 m X 1,7 ,).

I moduli sono progettati per resistere almeno 300 anni.

Terza Barriera
3 I moduli così ottenuti sono a loro volta inseriti all’interno di celle costituite da cemento armato (27 m X 15,5 m X 10 m). Queste, come i moduli, sono progettate per resistere almeno 300 anni.
Quarta Barriera
4 Quando le celle saranno completate, verranno sigillate e, quindi, ricoperte da strati di materiale inerte e impermeabile che saranno ricoperti da un manto erboso che contribuirà ad armonizzare il Deposito con l’ambiente circostante. Un sistema di linee di drenaggio sotto ciascuna cella assicurerà la raccolta ed il controllo di eventuali acque infiltrate o possibili condense.

L’intero Deposito Nazionale sarà soggetto ad un costante monitoraggio, e questo unito all’applicazione dei criteri di localizzazione, alla progettazione della struttura (secondo elevati standard di sicurezza), al sistema autorizzativo ed al controllo rigoroso, garantiranno la sostenibilità ambientale del progetto.

Ma una struttura di questo genere non è in grado di realizzarsi e gestirsi in autonomia. Ciò vuol dire che, in particolare in un periodo di crisi occupazionale come questa, la realizzazione di questo Deposito Nazionale sarà in grado generare occupazione.

Stando ai dati riportati sul sito www.depositonazionale.it , che vi invito a visitare per leggere in maniera più approfondita tutti i dati che qui abbiamo sinteticamente riportato, durante la fase di realizzazione del Deposito, previsto in 4 anni (destinati ovviamente a dilungarsi dati i precedenti storici italiani) è prevista una forza lavoro di circa 1.500 posti di lavoro, mentre in fase di gestione operativa, saranno occupati circa 700 dipendenti.

Tra i buoni propositi che il Deposito vuole portare con sé dopo la sua realizzazione ci sono occasioni di innovazione e sviluppo per il territorio con attività di formazione e specializzazione fino al riconoscimento al territorio di un contributo di natura economica, che però non sarà, si badi bene, un risarcimento per un potenziale rischio, perché i rischi non vi sono e non si comprano, ma solo una sorta di ‘affitto’ per un terreno che per 300 anni non potrà essere utilizzato in altro modo. Ma tutto questo sarà sviluppato nel dettaglio nel corso della consultazione pubblica.

Purtroppo, seppur questa parte appare allettante per il territorio che ospiterà il Deposito Nazionale, non si può non prendere in considerazione i tempi biblici che il Governo Italiano adotta quando si tratta di emanare decreti di un certo rilievo. Siamo ormai abituati a vedere e vivere questioni lasciate a metà, ed in questo caso questo aspetto dovrà essere non solo considerato ma dovrà essere, probabilmente, un incentivo in più per i vari Ministeri coinvolti ad attivarsi affinché questo progetto non divenga l’ennesimo “cosa in sospeso” di cui “qualcuno” in futuro dovrà occuparsi.

E nel resto d’Europa come viene gestito?

Tutti i paesi, nei quali è in corso la realizzazione di depositi per i rifiuti radioattivi hanno adottato un sistema di benefici diretti ed indiretti per le comunità che li ospitano, non solo come indennizzo per la porzione di territorio che sarà occupata per un lungo periodo, ma anche per riconoscere una forma di valore aggiunto alle comunità che accettano di partecipare alla realizzazione di un servizio essenziale per lo sviluppo del Paese.

Realizzare una struttura del genere però sappiamo che comporta degli investimenti.

L’investimento complessivo calcolato è di circa 1,5 miliardi di euro. Tale somma sarà finanziata dalla componente tariffaria A2 della bolletta elettrica, che già oggi copre i costi di smantellamento degli impianti nucleari.

La parte di investimento relativa ai rifiuti medicali, industriali e di ricerca, sarà anticipata e poi restituita all’Autorità per l’Energia Elettrica, il Gas e il Sistema Idrico (AEEGSI) attraverso i ricavi generati dall’esercizio del Deposito Nazionale e Parco Tecnologico. Per i rifiuti derivanti dalla produzione di energia elettrica è previsto che il costo sia direttamente sostenuto dall’utente elettrico, come avviene per lo smantellamento delle installazioni nucleari.

I costi di esercizio del Deposito Nazionale, per la quota parte relativa alla sistemazione dei rifiuti derivanti dalle installazioni nucleari, saranno finanziati mediante la componente tariffaria A2 della bolletta elettrica, mentre per la gestione degli altri rifiuti il finanziamento avverrà attraverso una tariffa di conferimento, che i produttori privati corrisponderanno all’esercente del deposito per lo smaltimento dei loro rifiuti. Per quanto riguarda il Parco Tecnologico, è prevista la ricerca di altre fonti di finanziamento, pubbliche e private, per l’attivazione di progetti di ricerca da realizzare in accordo con il territorio ospitante.

Il percorso di localizzazione del deposito nazionale e del parco tecnologico

Per poter realizzare una struttura di questo genere, oltre all’investimento è necessario dapprima individuare un luogo idoneo alla sua realizzazione.

Il percorso di localizzazione segue i dettami del Decreto Legislativo n. 31/2010 che prevede l’interazione sinergica di aspetti di natura tecnico-scientifica ed il coinvolgimento attivo dei cittadini.

Se da un lato per la realizzazione di una centrale nucleare è importante avere accesso, per il suo funzionamento, ad una fonte di acqua, in questo caso dovrà essere necessario individuare un luogo dove l’acqua non sia presente.

Questo è ovviamente solo uno dei molteplici aspetti di cui tener conto per realizzare la mappa delle aree potenzialmente idonee ad ospitare il Deposito Nazionale.

L’ter di localizzazione, gestito da Sogin, è partito il 4 Giugno 2014, quando l’ISPRA ha pubblicato sul proprio sito internet la Guida Tecnica n. 29 “Criteri per la localizzazione di un impianto di smaltimento superficiale di rifiuti radioattivi a bassa e media attività”.

Il 2 Gennaio 2015 Sogin ha consegnato ad ISPRA la proposta di Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente idonee (CNAPI) ad ospitare il Deposito Nazionale e l’annesso Parco Tecnologico rispettando i tempi previsti dal D.Lgs. 31/2010 (7 mesi dalla pubblicazione della Guida Tecnica n.29).

Le aree individuate nella CNAPI possiedono caratteristiche favorevoli all’individuazione del sito potenzialmente idoneo ad ospitare il Deposito Nazionale, frutto dell’applicazione dei criteri ISPRA e delle linee guida IAEA, Tali aree saranno oggetto, non solo delle consultazione pubblica, ma di indagini successive per la qualifica.

Attualmente Sogin è in attesa di ricevere dai Ministeri competenti il nulla osta per la pubblicazione sul sito www.depositonazionale.it della proposta della Carta Nazionale della Aree Potenzialmente Idonee e del progetto preliminare del Deposito.

Tale pubblicazione segnerà l’avvio della consultazione pubblica con la quale per la prima volta in Italia verrà caratterizzato il processo di realizzazione di un’opera di interesse strategico.

E’ quindi necessario che tutta la cittadinanza sia informata su ciò che rappresenta il Deposito Nazionale, sul perché la sua realizzazione riveste molta importanza. Solo in questo modo sarà possibile partecipare attivamente alla consultazione pubblica e giungere ad una scelta condivisa.

La consultazione, che avrà una durata pari a 120 giorni, sarà un percorso preventivo delle scelte che permetteranno alle esigenze ed ai diversi punti di vista dei territori coinvolti di essere accolti e valutati accuratamente.

Questa fase si articolerà in incontri e seminari nelle regioni coinvolte ed in un successivo Seminario Nazionale. A questo evento saranno invitati a partecipare tutti i soggetti interessati e quindi: Comuni, Regioni, Provincie, associazioni ambientaliste, mondo scientifico e soprattutto cittadini, vero cuore pulsante dell’intero processo.

La vera innovazione della consultazione viaggia attraverso il web. Infatti, grazie al portale www.depositonazionale.it i cittadini potranno richiedere informazioni, inviare le proprie osservazioni e proposte tecniche e contribuire così alla scelta del sito. Inoltre sul portale sono presenti moltissimi documenti che aiuteranno a chiarire dubbi ed a diffondere massima informazione e trasparenza su questo progetto.

Sulla base di tutte le osservazioni ricevute, obiezioni e critiche emerse durante la consultazione pubblica verrà infine disegnata la mappa definitiva, denominata CNAI: Carta Nazionale delle Aree Idonee.

Regioni ed Enti locali i cui territori ricadranno all’interno della mappa delle aree idonee potranno manifestare il proprio interesse ad ospitare il Deposito Nazionale, dando quindi l’avvio ad ulteriori indagini con l’applicazione dei criteri di approfondimento.

L’Italia con il progetto del Deposito Nazionale e Parco Tecnologico affronta una sfida per il proprio futuro, non solo nel campo dei rifiuti radioattivi, ma aprendo una porta per lo sviluppo di successivi progetti.

La consultazione pubblica rappresenta una vera opportunità per noi tutti per dimostrare di aver maturato un forte senso critico nei confronti dell’ambiente e della sicurezza dell’Uomo, del volerci prendere le nostre responsabilità non solo per il presente, ma anche per il futuro che è quanto di più prezioso abbiamo oggi nelle nostre mani.

Non possiamo e non dobbiamo ignorare questa opportunità, né tantomeno sprecarla, ma dobbiamo impegnarci attivamente per comprendere questo progetto e diventare tutti quanti un po’ più tecnici, prenderci le nostre responsabilità e divenire autori del nostro futuro senza più delegare ad altri la soluzione di problemi scomodi. Solo così dimostreremo che, in un momento di forte crisi come quello che il nostro Paese attraversa, siamo diventati adulti come popolo, come nazione, e che possiamo raggiungere gli standard elevati dei nostri cugini europei.

Chiaramente, ma questo lo abbiamo già sottolineato, affinché il progetto abbia successo occorre non solo la partecipazione della cittadinanza ma anche una partecipazione attiva e sollecita da parte dei Ministeri coinvolti così da dimostrare di essere all’altezza della situazione e recuperare parte della fiducia, ormai persa, della popolazione.

Come sempre le opinioni sono del tutto personali, nessuno può arrogarsi il diritto di conoscere la verità assoluta su ogni argomento e spero che questo articolo abbia aperto le porte per una sana curiosità di voi lettori sull’argomento che ritengo sia di interesse comune.

 

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Vito La Forgia

Vito la Forgia ha conseguito la laurea in Ingegneria Ambientale e del Territorio presso il Politecnico di Bari. E' autore del Manuale: Riciclo e Gestione RAEE. Gestione dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche

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