L’autorizzazione unica per gli impianti di produzione da energia rinnovabile spetta alle Regioni

I Comuni non possono autorizzare certi tipi di impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili caratterizzati da determinate capacità di generazione, perché – secondo la legge nazionale – non ne hanno la competenza.
Lo afferma la Corte Costituzionale che dichiara illegittima la legge regionale del Molise "Nuova disciplina degli insediamenti degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili nel territorio della Regione Molise". In particolare nella parte in cui prevede che gli impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili con capacità di generazione non superiore a 1 Mw elettrico siano autorizzati dai Comuni competenti per territorio secondo le procedure semplificate stabilite dalle "linee guida" regionali.
In vero è una disposizione nazionale (quella contenuta nell'articolo 12, comma 10, nel d.lgs. n. 387 del 2003) che affida alle Regioni o alle Province delegate il rilascio dell'autorizzazione unica alla costruzione ed esercizio degli impianti alimentati da fonti rinnovabili e assoggetta alla sola denuncia di inizio attività (Dia) gli impianti stessi, unicamente quando la loro capacità di generazione sia inferiore alle soglie individuate dalla tabella A dello stesso decreto.
Prevede anche la possibilità di derogare alle soglie di capacità di generazione e caratteristiche dei siti di installazione per i quali è applicabile la disciplina della Dia, ma solo con decreto interministeriale, d'intesa con la Conferenza unificata senza che la Regione possa provvedervi autonomamente.
L'autorizzazione unica regionale quindi è sì derogabile a favore di procedure semplificate, ma limitatamente. Del resto la funzione dell'autorizzazione unica è quella di realizza una procedura uniforme mirata a realizzare le esigenze di tempestività e contenimento dei termini per la conclusione dei procedimenti amministrativi inerenti alla costruzione ed esercizio degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, che "resterebbe vanificata ove ad essa si abbinasse o sostituisse una disciplina regionale, anche se concepita nell'ambito di una diversa materia".

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Germania al top per import rifiuti (in gran parte italiani…)

In Italia si fanno studi, convegni, rapporti, proclami attorno al tema dei rifiuti per poi rimanere al palo sui sistemi di trattamento: e il risultato è che quantità pari a circa (poco più poco meno a seconda delle analisi) la metà dei rifiuti urbani prodotti e molto più della metà di quelli speciali vanno a finire in discarica. O prendono la strada della Germania, come ci dice il dipartimento dell'Ambiente tedesco, che attesta che il nostro paese ha aumentato dal 1995 al 2008 le quantità di rifiuti inviate oltralpe passando dalle 7mila tonnellate di allora ai circa 1,6 milioni di tonnellate nel 2008 diminuite ( si fa per dire) a 1,45 milioni di tonnellate nel 2009. Terza in questa classifica di esportatori l'Italia detiene però il primato dell'incremento dei rifiuti che ha contribuito (per un quinto) a far sì che in Germania nel 2009 siano state smaltite-trattate 7,6 milioni di tonnellate di spazzatura provenienti da tutto il mondo.
Un import che per la Germania è aumentato costantemente dal 1995 di circa il 2.615%, vale a dire da appena 281mila tonnellate fino ai quasi 8 milioni attuali e che non ha avuto nemmeno effetti negativi a seguito della crisi economica, confermandosi un settore di grande interesse per il paese .
Dal solo trattamento dei rifiuti importati la Germania ottiene infatti molti vantaggi: da quello di incassare le tariffe pagate dai paesi esportatori, al guadagno per la vendita delle materie prime seconde ottenute dalla selezione dei rifiuti e infine dall'energia ottenuta per l'incenerimento dei materiali residui.
Ma nel settore della gestione dei rifiuti la Germania detiene anche il primato per le tecnologie di trattamento e smaltimento di cui è invece esportatore netto.
Le agenzie di stampa che riportano i dati dell'importazione dei rifiuti del dipartimento ambiente tedesco non dicono quale sia la ripartizione tra urbani e speciali di queste quantità trattate in Germania: sappiamo che dall'Italia sono partiti diversi treni di rifiuti urbani per far fronte all'emergenza campana, anche se il nostro ordinamento permetterebbe – in via ordinaria – solo l'export o l'import di rifiuti speciali.
Ma stando ai dati dell'ultimo rapporto sul trasporto transfrontaliero dei rifiuti, redatto da Fise Assoambiente sui dati disponibili riferiti al 2005, il bilancio tra import ed export pone il nostro paese come esportatore netto con un totale di circa 1,9 milioni di tonnellate di rifiuti esportati (di cui oltre 1,3 milioni di tonnellate di speciali non pericolosi e circa 573.000 tonnellate di pericolosi) contro una importazione di poco più di 1,4 milioni di tonnellate di rifiuti speciali (di cui circa 33.000 tonnellate di pericolosi). L'analisi dei flussi dimostra poi che quello in uscita è legato al trattamento finale di rifiuti provenienti da processi produttivi (ceneri, scorie, polveri), quello in entrata riguarda invece soprattutto i rifiuti da avviare al riciclaggio (legno, vetro, plastiche, metalli).
Una situazione che fa emergere due aspetti della gestione dei rifiuti nel nostro paese: la carenza di sistemi di trattamento dei rifiuti prodotti e l'arretratezza dei sistemi di raccolte differenziate finalizzate al riciclaggio dei materiali. Oltre il 90% dei rifiuti speciali sono esportati in paesi europei (in particolare in Germania come ci dicono i dati del dipartimento tedesco) dove vengono non solo smaltiti ma anche trattati per ricavarne altra materia e energia.
Attività che potrebbero in maniera del tutto analoga essere svolte da aziende del nostro paese, ottenendo un doppio vantaggio, ambientale ed economico: si potrebbe infatti chiudere il ciclo dei rifiuti e sviluppare una filiera economica in grado di produrre reddito e occupazione qualificata e duratura. Ma anziché aiutare a crescere questa cultura e fornire gli strumenti necessari per agevolarla (ad esempio evitando l'attuale caos di riferimento normativo del settore) quello che è cresciuta è l'esportazione verso la Germania che si arricchisce grazie ai nostri scarti.

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Enea-Federambiente, in Italia il 51,9% dei rifiuti va ancora in discarica. Lo studio

L’Italia delle discariche ingurgita ancora rifiuti, in misura del 51,9% del totale della spazzatura del nostro Paese. E di questa, quasi 12 milioni di tonnellate all’anno (36,5% sul totale) sono di “tal quale”: ovvero, dal cassonetto i rifiuti vengono smaltiti direttamente in discarica senza nessun trattamento.
Sono alcuni dati contenuti nel “Rapporto sulle tecniche di trattamento dei rifiuti urbani in Italia”, realizzato dall'Enea e da Federambiente, presentato nei giorni scorsi a Roma nella sede dell'Agenzia.
“Il dato sul ricorso alla discarica – dice Daniele Fortini, presidente di Federambiente – è drammatico e allarmante, oltre a essere pericoloso per la salute dei cittadini”. Secondo il rapporto “il sistema è maturo” nelle regioni settentrionali dove gli impianti sono di taglia più piccola, ma con una diffusione maggiore sul territorio. Mentre, al centro-sud sembra “evidente la carenza di impianti” per il trattamento di recupero energetico e di compostaggio di frazioni selezionati, con una diffusione non omogenea a livello territoriale e una taglia maggiore degli impianti che hanno pertanto una resa più bassa rispetto alle capacità.
Al 31 dicembre 2008 sul nostro territorio sono stati, infatti, contati 393 impianti destinati al trattamento di rifiuti urbani impegnati nel recupero di materia, attraverso compostaggio, e di energia, con una capacità nominale complessiva di oltre 27 milioni di tonnellate all'anno. Gli impianti di trattamento meccanico post-raccolta differenziata sono 33. Quelli di compostaggio sono 195 per una capacità di circa 5,3 milioni di tonnellate all'anno (27mila ton/anno di media): 122 impianti (su 195) sono situati nel nord del Paese.
In discarica finisce anche tra il 15 e il 20% del Cdr (Combustibile derivato da rifiuti) oltre una buona quantità di Fos (Frazione organica stabilizzata). L’incenerimento con recupero energetico, si osserva nello studio, è la modalità di gestione più carente facendo aumentare lo smaltimento in discarica.

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Nonostante le tecniche di trattamento, va in discarica ancora il 52% degli Rsu

Lo dotazione impiantistica attualmente presente in Italia è in grado di trattare 27 milioni di tonnellate di rifiuti urbani, in 426 impianti, localizzati per lo più al nord del paese.
E' quanto emerge dal rapporto che riassume i risultati di un'indagine conoscitiva condotta congiuntamente da Enea e Federambiente, a cavallo tra il 2008 e il 2009, che ha come obiettivo la caratterizzazione della dotazione impiantistica di trattamento dei rifiuti urbani presente sul territorio nazionale. Che appare più diffusa al nord rispetto alle altre aree geografiche del paese.
«Un'impiantistica di trattamento e recupero dei rifiuti urbani, congruente con una corretta gestione integrata e in linea con la normativa di settore nonché con gli standard tecnologici adottati in altre realtà dell'Unione Europea, è già una realtà per molte aree del nostro Paese» l'ha definita il commissario dell'Enea, Giovanni Lelli, che ha aggiunto che «un maggiore impulso va ora dato allo sviluppo di tale impiantistica in alcune aree del Centro-Sud».

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