La legge istitutiva della TARI – L. n. 147, art. 1, co. 651, del 27 dicembre 2013 – stabilisce il comune nella commisurazione della tariffa tiene conto dei criteri determinati con il regolamento di cui al d.p.r. n. 158/1999, che, a sua volta, suddivide il tributo in una parte fissa, determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere e dai relativi ammortamenti, e in una parte variabile, rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito e all’entità dei costi di gestione (art. 3). Orbene, la parte variabile non è dovuta, e non va applicato il regolamento comunale che disponga diversamente, per quelle aree aziendali dove l’attività svolta comporti una produzione di rifiuti pressoché nulla.
Autore: Salvatore Casarrubia
L’ordinanza sindacale di rimozione dei rifiuti è cogente anche se l’area è sequestrata
Va poi ricordato che, in tema di gestione dei rifiuti, nel caso in cui l’area sulla quale i rifiuti si trovano in stato di abbandono sia sottoposta a sequestro, il proprietario (od il possessore) della medesima che sia destinatario dell’ordinanza sindacale di rimozione dei rifiuti deve richiedere al giudice l’autorizzazione ad accedervi onde provvedere alla rimozione, diversamente configurandosi la contravvenzione prevista dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 192, comma 3, con la conseguenza che il sequestro non può costituire una causa di inesigibilità della condotta normativamente richiesta.
Come qualificare il calcestruzzo in esubero, che torna nello stabilimento di produzione
Costituisce attività di recupero il trattamento di materiale proveniente da pregresse forniture di calcestruzzo alla clientela e dalle operazioni di lavaggio delle betoniere e delle pompe, perché si tratta di rifiuto e non di sottoprodotto. Il materiale di cui si discute è quello che rientra nello stabilimento dopo la consegna alla clientela e che viene definito con espressioni quali “calcestruzzo in esubero”. Si tratta, dunque, di materiale che, ricavato dal processo produttivo, viene poi trasportato all’esterno dello stabilimento e consegnato al cliente. All’esito della consegna la betoniera rientra nello stabilimento, dove il materiale viene sottoposto a successivo trattamento. Tale materiale assume la natura di vero e proprio rifiuto nel momento in cui l’acquirente/destinatario della consegna non lo riceve, lasciandolo al trasportatore e manifestando così, inequivocabilmente, l’intenzione di disfarsene, certamente rilevante, atteso che, come è noto, secondo la definizione datane nel D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, comma 1, lett. a), nell’attuale formulazione, deve ritenersi rifiuto “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi”. La Corte precisa, altresì, che, pur volendo ipotizzare una diversa situazione, nella quale il prodotto non entra di fatto nella disponibilità del cliente, che si limita a ricevere il solo quantitativo esatto di calcestruzzo necessario alle sue esigenze e, conseguentemente, non se ne disfa, deve osservarsi che detto materiale, nel momento in cui rientra nello stabilimento, non sembra mantenere la “stessa natura del calcestruzzo prodotto e caricato sul mezzo di trasporto”, perché, se così fosse, non si spiegherebbe per quale motivo non venga nuovamente commercializzato anziché essere sottoposto ad uno specifico trattamento (di separazione dell’acqua e del cemento dagli aggregati ovvero di frantumazione del materiale dopo l’essiccazione) prima di essere reimpiegato per la produzione di altro calcestruzzo.
Nuovi codici CER e aumento della capacità di stoccaggio del precedente impianto: è un impianto nuovo
Il progetto di ampliamento, di un precedente impianto, che preveda l’introduzione di nuovi codici CER e un aumento delle capacità di stoccaggio, porta a qualificare quanto proposto come un «nuovo impianto», con tutte le conseguenze che ne derivano sul piano delle autorizzazioni.
Consiglio di Stato, sentenza del 18.06.2015