Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 27-02-2014) 01-08-2014, n. 34098
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIALE Aldo – Presidente –
Dott. AMORESANO Silvio – Consigliere –
Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –
Dott. GAZZARA Santi – Consigliere –
Dott. ACETO Aldo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza sul ricorso proposto da:
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Avellino;
nel procedimento nei confronti di:
I.M., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 08/04/2013 del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Avellino;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Aldo Aceto;
letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Eugenio Selvaggi, che ha concluso chiedendo
l’annullamento della sentenza e la trasmissione degli atti al GIP di Avellino per l’ulteriore seguito;
letta la memoria difensiva dell’Avv. Maria Caprio, difensore d’ufficio dell’imputato, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso e la conferma dell’impugnata sentenza.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza dell’8 aprile 2013, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Avellino, richiesto dal Procuratore della Repubblica presso quello stesso Tribunale di emettere decreto penale di condanna nei confronti di I. M. in ordine al reato di cui all’art. 81 cpv. c.p., art. 256 c.p., comma 1, lett. a), in relazione al D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 185, lett. f), eart. 674 c.p., commesso in Avellino il 24/10/2012, ha assolto l’imputato dal reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, cit., perchè il fatto non sussiste, ed ha contestualmente rigettato la richiesta in ordine al residuo reato di cui all’art. 674 c.p., per il quale ha disposto la restituzione degli atti al pubblico ministero.
1.1. All’imputato si contesta di aver effettuato “senza alcuna autorizzazione, un’attività di smaltimento, mediante incenerimento a terra, di scarti vegetali (rifiuti speciali non pericolosi: CER 02.01.03 non qualificabili come materiale agricolo o forestale naturale utilizzato in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente nè mettono in pericolo la salute umana), nonchè perchè illegalmente provocava, in luogo di pubblico transito e comunque verso luoghi privati di altrui uso, fumi atti ad offendere o molestare le persone”.
1.2. A fondamento della propria decisione il Giudice ha sostenuto che: 1) l’abbruciamento dei residui derivanti dalla pulitura o dalla manutenzione del fondo costituisce uso contadino locale invalso; 2) si tratta di pratica agronomica lecita perchè prevista e disciplinata tanto dal legislatore nazionale (L. n. 353 del 2000) quanto dal legislatore regionale; 3) la L.R. Campania 7 maggio 1996, n. 11, art. 6, commi 3 e 6, del capo I dell’allegato 3, in particolare, prevede espressamente l’attività di “abbruciamento delle ristoppie e degli altri residui vegetali”, regolamentandone le concrete modalità e prescrivendo le relative attività preparatorie;
4) la violazione delle prescrizioni è punita a titolo di illecito amministrativo (art. 47, lett. b, capo I, allegato C, alla L.R. Campania cit.); 5) a norma del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 185, comma 1, lett. f), (come significativamente interpolato dal D.Lgs. 13 dicembre 2010, n. 205, art. 13), inoltre, non rientrano nel campo di applicazione del decreto, la paglia, gli sfalci e le potature, nonchè altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzato in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente nè mettono in pericolo la salute umana;
6) le ceneri di legno, provenienti da legname non trattato chimicamente dopo l’abbattimento, sono utilizzabili come concime (come prevede
il regolamento CEE n. 2092/91, allegato II, parte A);
7) la cenere, inoltre, è notoriamente utilizzata in agricoltura come concime, come anche si può anche evincere dall’articolo di una rivista
specializzata nel settore (“Vita in campagna 2/2006”), dal quale si evince che per cento metri quadri di terreno necessitano non più di 25 kg. di
cenere, pari a 5 metri cubi di legna da ardere; 8) si tratta di quantità che sono assolutamente compatibili con la modesta attività di bruciatura
posta in essere nel caso di specie, come rilevata fotograficamente dalla polizia giudiziaria; 9) gli usi dell’agricoltura e la stessa normativa regionali, costituiscono elementi che, in ogni caso, depongono a favore della buona fede di chi pratica questa attività, escludendo che possa avere coscienza della antisocialità della propria condotta.
2. Ricorre per Cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Avellino eccependo, con unico motivo di ricorso, la violazione di legge, l’erronea applicazione-interpretazione di legge penale, il travisamento della prova.
2.1.Osserva il ricorrente che: 1) a norma del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 185, comma 1, lett. f), non è sufficiente l’esistenza di una prassi in
agricoltura, ma è necessario che si tratti di processi o metodi che non danneggiano l’ambiente, nè mettono in pericolo la salute umana; 2) nel
caso di specie, l’ARPAC, con nota informativa allegata al ricorso, aveva evidenziato che l’attività oggetto di imputazione non rientra tra le tecniche agricole che non danneggiano l’ambiente; 3) si tratta di rifiuti espressamente previsti dall’allegato A alla parte IV del D.Lgs. n. 152 del 2006; 4) l’attività di smaltimento mediante incenerimento a terra è espressamente prevista dall’allegato B alla parte quarta del D.Lgs. n. 152 del 2006 (D10); 5) il giudice, dunque, non solo ha errato nell’applicazione della norma ma ha anche travisato la prova derivante dal certificato
ARPAC, ponendo a fondamento della propria decisione la propria personale scienza (un articolo di una rivista, peraltro nemmeno presente in atti);
6) la normativa regionale citata in sentenza disciplina la sola attività in essa prevista ma non può incidere, nel senso di escluderlo, sul regime
autorizzatorio di necessaria competenza esclusiva dello Stato; 7) il che esclude anche la buona fede di chi ponga in essere questa attività senza
autorizzazione; 8) peraltro si tratta di norme che non sono tra loro in rapporto di specialità (dovendosi far riferimento alla specialità in astratto) e, quand’anche lo fossero, quella penale sarebbe applicabile perchè in rapporto di specialità unilaterale per specificazione.
Motivi della decisione
3. Il ricorso è fondato.
4.Il quadro normativo di riferimento:
4.1. A norma del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, comma 1, lett. a), costituisce rifiuto “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o
abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi”;
4.2. Ai sensi delle successive lettere f) e g), dello stesso articolo, “detentore” del rifiuto è (anche) colui la cui attività produce rifiuti;
4.3. Secondo la definizione datane dalla lettera z), l’attività di smaltimento del rifiuto consiste in “qualsiasi operazione diversa dal recupero, anche quando l’operazione ha come conseguenza secondaria il recupero di sostanze ed energia. L’allegato B alla parte IV del presente decreto riporta un elenco non esaustivo delle operazioni di smaltimento”;
4.4. L’allegato B – testè richiamato – include, tra le operazioni di smaltimento, “l’incenerimento a terra” (D10);
4.5. Giusta la previsione di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 214, lo smaltimento di rifiuti, effettuato direttamente dal produttore, nel luogo di
produzione dei rifiuti stessi, non è consentito in assenza di comunicazione di inizio attività;
4.6. Ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 184, comma 2, lett. e), i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi sono classificati (e considerati)
come rifiuti urbani;
4.7. Ai sensi dell’art. 184, comma 3, lett. a) i rifiuti provenienti da attività agricole e agro-industriali ai sensi dell’art. 2135 c.c., sono considerati
rifiuti speciali;
4.8. A norma del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 185, comma 1, lett. f), non rientrano nel campo di applicazione della parte quarta del decreto
“paglia, sfalci e potature, nonchè altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la
produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente nè mettono in pericolo la salute umana”;
4.9. L’allegato D alla parte IVA del d.lgs. 152/2006 (Elenco dei rifiuti istituito dalla Decisione della Commissione 2000/532/CE del 3 maggio 2000) contempla (punto 02.01) i “rifiuti prodotti da agricoltura, orticoltura, acquacoltura, selvicoltura, caccia e pesca”;
4.10. A norma del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 184 bis, “E’ un sottoprodotto e non un rifiuto ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. a), qualsiasi
sostanza od oggetto che soddisfa tutte le seguenti condizioni: a) la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto; b) è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi; c) la sostanza o essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale; d) l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la
sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana”;
4.11. Ai sensi del successivo art. 184 ter, “un rifiuto cessa di essere tale, quando è stato sottoposto a un’operazione di recupero, incluso il
riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i criteri specifici, da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni: a) la sostanza o l’oggetto è comunemente utilizzato per scopi specifici; b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto; c) la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti; d) l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana”;
4.12. La L.R. Campania 7 maggio 1996, n. 11, art. 6, comma 5, recita:
“In altre zone la bruciatura delle ristoppie e di altri residui vegetali, salvo quanto previsto dalla L.R. 10 aprile 1996, n. 8, art. 25, è permesso
quando la distanza dai boschi è superiore a 50 metri purchè il terreno su cui l’abbruciamento si effettua, venga preventivamente circoscritto ed
isolato con una striscia arata della larghezza minima di metri 5. La pratica è comunque vietata in presenza di vento”;
4.13. Il comma 6 recita: “Nei castagneti da frutto è consentita la ripulitura del terreno dai ricci, dal fogliame, dalle felci, mediante la raccolta,
concentramento ed abbruciamento. L’abbruciamento è consentito dal 1 luglio al 30 marzo, dall’alba alle ore 10.00. Il materiale raccolto in piccoli mucchi andrà bruciato con le opportune cautele su apposite radure predisposte nell’ambito del castagneto. Il Sindaco, per particolari condizioni ambientali, su proposta delle autorità forestali competenti, può sospendere le operazioni di bruciatura nel periodo compreso tra il 1 luglio ed il 30 settembre”;
4.14. A norma del successivo comma 7, “la bruciatura delle stoppie e la pulizia dei castagneti da frutto debbano essere preventivamente
denunciati al Sindaco ed al Comando Stazione Forestale competente”;
4.15. l’art. 47, lett. b), capo I, allegato C, L.R. Campania cit. sanziona con pena pecuniaria la violazione dell’art. 6, commi 6 e 7, stessa legge.
5. L’evoluzione del quadro normativo nel tempo.
5.1. Il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 184 comma 2, lett. e), nella sua versione iniziale includeva, tra i rifiuti urbani, “i rifiuti vegetali provenienti da
aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali” (versione mai, sino ad oggi, modificata); il successivo comma 3, lett. a), includeva tra i rifiuti
speciali “i rifiuti da attività agricole e agro-industriali”;
5.2. Il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 185, nella sua versione originaria, escludeva dal l’ambito applicativo del decreto alcuni rifiuti agricoli (comma 1, lett. e: “materie fecali ed altre sostanze naturali non pericolose utilizzate nelle attività agricole ed in particolare i materiali litoidi o vegetali e le terre da coltivazione, anche sotto forma di fanghi, provenienti dalla pulizia e dal lavaggio dei prodotti vegetali riutilizzati nelle normali pratiche agricole e di conduzione dei fondi rustici, anche dopo trattamento in impianti aziendali ed interaziendali agricoli che riducano i carichi inquinanti e potenzialmente patogeni dei materiali di partenza”) nonchè i “materiali vegetali non contaminati da inquinanti provenienti da alvei di scolo ed irrigui, utilizzabili tal quale come prodotto, in misura superiore ai limiti stabiliti con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio da emanarsi entro novanta giorni dall’entrata in vigore della parte quarta del decreto” (lett. h);
5.3. A seguito di modifiche introdotte con D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4 (art. 2, comma 22), il comma 1, lett. e), dell’art. 185 cit., è stato
circoscritto alle sole “materie fecali ed altre sostanze naturali non pericolose utilizzate nelle attività agricole” – contestualmente il comma 2, per
quanto di interesse, è stato così riformulato: “Possono essere sottoprodotti, nel rispetto delle condizioni dell’art. 183, comma 1, lett. p): materiali fecali e vegetali provenienti da attività agricole utilizzati nelle attività agricole o in impianti aziendali o interaziendali per produrre energia o calore, o biogas; materiali litoidi o terre da coltivazione, anche sotto forma di fanghi, provenienti dalla pulizia o dal lavaggio di prodotti agricoli e riutilizzati nelle normali pratiche agricole e di conduzione dei fondi”;
5.4. l’art. 183, lett. p), richiamato dall’art. 185, comma 2, a sua volta modificato dal D.Lgs. n. 4 del 2008, (art. 2, comma 20), così recitava:
“sottoprodotto: sono sottoprodotti le sostanze ed i materiali dei quali il produttore non intende disfarsi ai sensi dell’art. 183, comma 1, lettera a), che soddisfino tutti i seguenti criteri, requisiti e condizioni: 1) siano originati da un processo non direttamente destinato alla loro produzione; 2) il loro impiego sia certo, sin dalla fase della produzione, integrale e avvenga direttamente nel corso del processo di produzione o di utilizzazione preventivamente individuato e definito; 3) soddisfino requisiti merceologici e di qualità ambientale idonei a garantire che il loro impiego non dia luogo ad emissioni e ad impatti ambientali qualitativamente e quantitativamente diversi da quelli autorizzati per l’impianto dove sono destinati ad essere utilizzati; 4) non debbano essere sottoposti a trattamenti preventivi o a trasformazioni preliminari per soddisfare i requisiti merceologici e di qualità ambientale di cui al punto 3), ma posseggano tali requisiti sin dalla fase della produzione; 5) abbiano un valore economico di mercato”;
5.5. con D.L. 8 luglio 2010, n. 105, convertito, con modificazioni, dalla L. 13 agosto 2010, n. 129 (art. 1, comma 3), il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 185, comma 2, è stato ulteriormente modificato nel senso che “possono essere sottoprodotti, nel rispetto delle condizioni dell’art. 183,
comma 1, lett. p), materiali fecali e vegetali provenienti da sfalci e potature di manutenzione del verde pubblico e privato, oppure da attività
agricole, utilizzati nelle attività agricole, anche al di fuori del luogo di produzione, ovvero ceduti a terzi, o utilizzati in impianti aziendali o
interaziendali per produrre energia o calore, o biogas”;
5.6. Con D.Lgs. 3 dicembre 2010, n. 205: 1) il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 185, è stato definitivamente modificato nei termini sopra già riportati
sub punto 4.8; 2) la categoria dei sottoprodotti (di cui al previgente D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, lett. p) è stata autonomamente disciplinata
dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 184 bis, di nuova introduzione; 3) è stata prevista la cessazione della qualifica di rifiuti (i c.d. end of waste)
secondo la disciplina prevista dall’art. 184 ter (trascritto, per la parte di interesse, al punto 4.11); 4) l’art. 184, comma 3, lett. a), è stato
modificato nel senso attualmente vigente (come riportato ai punti 4.6 e 4.7); 5) è stata modificata la disciplina dei sottoprodotti (prevista dal
nuovo art. 184 bis, nel testo riportato sub punto n. 4.10);
5.7. Con D.L. 10 dicembre 2013, n. 146, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 febbraio 2014, n. 6, è introdotto il nuovo reato di “Combustione illecita di rifiuti” (D.Lgs. n. 152 del 2006,art. 256 bis), secondo il quale “1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque appicca il fuoco a rifiuti abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata è punito con la reclusione da due a cinque anni. Nel caso in cui sia appiccato il fuoco a rifiuti pericolosi, si applica la pena della reclusione da tre a sei anni. Il responsabile è tenuto al ripristino dello stato dei luoghi, al risarcimento del danno ambientale e al pagamento, anche in via di regresso, delle spese per la bonifica; 2. Le stesse pene si applicano a colui che tiene le condotte di cui all’art. 255, comma 1, e le condotte di reato di cui agli artt. 256 e 259, in funzione della successiva combustione illecita di rifiuti; 3. La pena è aumentata di un terzo se il delitto di cui al comma 1 è commesso nell’ambito dell’attività di un’impresa o comunque di un’attività organizzata. Il titolare dell’impresa o il responsabile dell’attività comunque organizzata è responsabile anche sotto l’autonomo profilo dell’omessa vigilanza sull’operato degli autori materiali del delitto comunque riconducibili all’impresa o all’attività stessa; ai predetti titolari d’impresa o responsabili dell’attività si applicano altresì le sanzioni previste dal D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, art. 9, comma 2; (….) 6. Si applicano le sanzioni di cui all’art. 255 se le condotte di cui al comma 1 hanno a oggetto i rifiuti di cui all’art. 184, comma 2, lett. e)”.
6. Le argomentazioni del Giudice per le indagini preliminari e delle parti.
6.1. Gli argomenti del Giudice per le indagini preliminari e del Procuratore della Repubblica ricorrente sono già stati sopra sinteticamente riportati.
6.2. Nella memoria difensiva l’imputato insiste sul fatto che “bruciare i residui agricoli equivale a produrre ceneri che, da sempre, vengono
utilizzate come fertilizzanti”, in accordo a pratiche agricole, da sempre invalse nel mondo contadino, avallate anche da numerosi studi scientifici che ne dimostrano l’efficacia fertilizzante.
7. Le conclusioni della Corte di Cassazione.
7.1. Gli sfalci e le potature, come ogni altro rifiuto agricolo, costituiscono rifiuto quando il produttore se ne disfi;
7.2.la loro provenienza da un’attività agricola, ancorchè non svolta con le forme imprenditoriali di cui all’art. 2135 c.c., non incide sulla loro natura di “rifiuto”, ma solo sulla loro classificazione;
7.3. i rifiuti agricoli, infatti, restano tali anche se prodotti in contesti non imprenditoriali (dovendosi intendere per imprenditore agricolo anche il piccolo coltivatore agricolo di cui all’art. 2083 c.c.);
7.4. ferma restando la loro natura di rifiuti, il D.Lgs. n. 152 del 2006, ne ha sempre condizionato, nel tempo, l’esclusione dal proprio ambito di
applicabilità al riutilizzo diretto in agricoltura;
7.5.il concetto di “utilizzo” è presente, infatti, in tutte le versioni che nel tempo ha avuto la medesima norma (D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 185);
7.6. esula dal concetto di “utilizzo”, e rientra a pieno titolo nell’ambito applicativo del D.Lgs. n. 152 del 2006, lo “smaltimento” definitivo del rifiuto mediante la procedura dell’incenerimento al suolo;
7.7. non rileva, a tal fine, che l’incenerimento venga effettuato direttamente dal produttore, nel luogo di produzione, trattandosi comunque di
forma di autosmaltimento non consentita in assenza, quantomeno, di comunicazione di inizio attività di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 215, e penalmente sanzionata, per i fatti commessi fino alla data di entrata in vigore del citato D.L. n. 136 del 2013, dal D.Lgs. n. 152 del
2006, art. 256, comma 1;
7.8.l’incenerimento al suolo non è nemmeno condotta che possa integrare la “cessazione della qualifica di rifiuto”, presupponendo – quest’ultima – un’operazione di “recupero” del rifiuto e non di “smaltimento” (secondo la definizione datane dall’art. 183, lett. z, riportata sub punto 4.3);
7.9.l’utilizzo del rifiuto deve essere oggetto di rigoroso accertamento;
7.10.la relativa prova non può essere affidata ad usi e consuetudini;
7.11. in ossequio al principio della riserva assoluta di legge in materia penale, e nel rispetto della gerarchia delle fonti (cfr.
artt. 8 e 15 preleggi), gli usi e le consuetudini, se non espressamente richiamati dalla legge, non hanno alcuna efficacia scriminante, tanto meno
limitativa della portata applicativa del decreto, nè possono essere utilizzati per aggirare la necessaria rigorosità della prova dell’utilizzo del rifiuto nella pratica agricola;
7.12. la legge regionale Campania 7 maggio 2006, n 11, come qualunque legge regionale, non può avere efficacia modificativa/abrogativa di una
norma penale;
7.13.peraltro, il suo ambito applicativo (e la ratio della previsione di cui all’art. 6, comma 6, cit., come sopra riportato al punto 4.11) riguarda la
prevenzione degli incendi boschivi, non lo smaltimento dei rifiuti;
7.14. in tale contesto, la denunzia, al Sindaco e al Comando Stazione Forestale competente, è indirizzata ad autorità del tutto diverse ed assolve a finalità del tutto eterogenee rispetto alla comunicazione di cui al D.Lgs. n. 156 del 2002, art. 215, non potendosi ritenere ad essa sostitutiva o
equipollente;
7.15. in ogni caso, il richiamo a tale legge è improprio, disciplinando essa condotte, quali la bruciatura (direttamente sul terreno) delle stoppie,
nonchè la pulizia dei castagneti (mediante bruciatura di piccoli mucchi dei ricci, del fogliame e delle felci), del tutto diverse da quelle oggetto
d’imputazione (grossi falò di potature ed altri residui vegetali non derivanti dalla pulizia di castagneti);
7.16. ciò vale ad escludere qualsiasi riflesso sull’elemento psicologico del reato (pure invocato per ritenere l’assenza di colpa per buona fede);
7.17. a seguito dell’introduzione del delitto di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256 bis, comma 2, la combustione non autorizzata, quale
modalità di smaltimento dei rifiuti dolosamente perseguita all’esito dell’attività di raccolta, trasporto e spedizione, qualifica le corrispondenti
condotte previste dal D.Lgs. n. 152 del 2006, artt. 256 e 259, facendole assurgere a fattispecie autonoma di reato, ancorchè a tali fasi di gestione del rifiuto, prodromiche alla combustione, non segua la combustione stessa;
7.18. il residuo illecito amministrativo di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256 bis, comma 6, ha invece ad oggetto i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali di cui all’art. 184, lett. e), non dunque la paglia, gli sfalci, le potature e il materiale agricolo o forestale non pericoloso di cui all’art. 185, comma 1, lett. f);
7.19. la condotta, però, deve avere ad oggetto rifiuti vegetali abbandonati o depositati in modo incontrollato (tale il senso del richiamo al comma 1), non anche raccolti e trasportati dallo stesso autore della combustione, poichè, in tal caso, la condotta ricadrebbe nella previsione di cui allo stesso art. 256 bis, comma 2, D.Lgs. cit.;
7.20. ne consegue che la condotta di autosmaltimento mediante combustione illecita di rifiuti continua ad avere penale rilevanza.
8. In accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata deve così essere annullata. Gli atti devono essere trasmessi al Tribunale di Avellino per
l’ulteriore corso.
cassazione
Recupero ambientale di ex cava: cassazione sentenze
Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 09-07-2014) 02-10-2014, n. 40811
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIALE Aldo – Presidente –
Dott. MARINI Luigi – rel. Consigliere –
Dott. SAVINO Maria Pia – Consigliere –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
Dott. GENTILI Andrea – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza sul ricorso proposto da:
G.S., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 13/3/2013 della Corte di appello di Trento che, in parziale riforma della sentenza del 22/2/2011 del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Trento emessa a seguito di rito abbreviato, decidendo sull’appello del Pubblico ministero, delle parti civili e dell’imputato ha:
– dichiarato il sig. G. responsabile del reato previsto dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 260, comma 1, (capo A) con riferimento alla discarica
per inerti di Sardagna e, unificato il reato con gli altri analogamente avvinti, aumenta a un anno e quattro mesi di reclusioni la pena inflitta;
– confermato nel resto la sentenza impugnata;
– condannato l’appellante alla rifusione delle spese sostenute nel giudizio dalle parti civili costituite;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Luigi Marini;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, POLICASTRO Aldo, che ha concluso chiedendo annullarsi la sentenza senza rinvio limitatamente ai reati D.Lgs. n. 152 del 2006, ex art. 256 perchè prescritti; rigettarsi nel resto;
udito per la parte civile Ministero dell’Ambiente l’Avv. dello Stato Cristina Gerardis, che ha concluso chiedendo respingersi il ricorso e condannarsi alle spese;
udito per la parte civile Provincia Autonoma di Trento l’avv. Melchionda Alessandro, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile o
comunque respingersi il ricorso e condannarsi alle spese;
udito per la parte civile Comune di Trento l’avv. Vicentini Paolo, che ha concluso chiedendo respingersi il ricorso e condannarsi alle spese;
udito per la parte civile Comune di Roncegno terme l’avv. Camolese Michele, che ha concluso chiedendo respingersi il ricorso e condannarsi alle spese;
uditi per l’imputato gli avv.ti Cunaccia Alberto e Bertuol Roberto, che hanno concluso chiedendo accogliersi il ricorso.
Svolgimento del processo
1. Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Trento, decidendo al termine del rito abbreviato “condizionato”, in data 22 febbraio 2011 ha assolto il sig. G., quale legale rappresentante della soc. “Ripristini Valsugana”, dal reato D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, ex art. 260 (capo A)
limitatamente alle condotte concernenti la discarica di inerti situata in (OMISSIS), e lo ha condannato alla pena di un anno di reclusione, previa applicazione della continuazione, per le restanti condotte contestate al capo A in relazione al sito di recupero ambientale denominato “(OMISSIS)”;
per il reato D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, ex art. 258, comma 4, (capo B); per il reato ex art. 349 cod. pen. (capo C) e – quello ex art. 484 cod.
pen. (capo D). Il Giudice dell’udienza preliminare ha altresì ordinato la riduzione in pristino dei luoghi e ha condannato l’imputato alle pene
accessorie di legge nonchè al risarcimento dei danni in favore delle numerose parti civili costituite, quantificati in 20.000,00 per l’associazione
WWF e da determinarsi in sede civile per le restanti parti, con fissazione di somme provvisionali come da dispositivo.
La sentenza ricostruisce i fatti ritenendo accertata un’attività fraudolenta di gestione dei rifiuti, pericolosi e non pericolosi, stoccati presso la ex
cava di (OMISSIS); un’attività che assume modalità e dimensioni tali da comportare consistenti vantaggi patrimoniali per il gestore e da integrare il delitto contestato. In particolare, la sentenza esclude che le caratteristiche dei rifiuti e il piano di recupero ambientale potessero avere come riferimento la destinazione industriale del sito, come richiesto invece dall’imputato, essendo evidente che l’intera procedura di recupero è stata calibrata sulla destinazione agricola e boschiva che caratterizzava l’area di cava prima dell’inizio dell’attività estrattiva.
Non altrettanto certa viene ritenuta la sussistenza del reato per il diverso sito di (OMISSIS), sempre oggetto del capo A di imputazione, difettando la prova che i materiali trattati integrassero il requisito della “ingente quantità”. I restanti reati sono stati ritenuti sussistenti e collegati al più grave delitto ex art. 260 citato.
2. Avverso la decisione del Giudice dell’udienza preliminare hanno proposto appello il Pubblico ministero (limitatamente al reato concernente il sito (OMISSIS) e al trattamento sanzionatorio), l’imputato e le parti civili.
Dopo avere premesso che in presenza di sentenza emessa su rito abbreviato il Pubblico ministero non può dolersi del trattamento sanzionatorio, la Corte di appello ha accolto l’impugnazione di parte pubblica con riguardo alla seconda parte del capo A e concluso per l’esistenza del delitto anche con riferimento al sito di (OMISSIS).
La corte territoriale ha quindi respinto le censure mosse dal sig. G. sia in rito (utilizzabilità delle videoriprese e dei campionamenti effettuati dalla polizia giudiziaria nella fase iniziale delle indagini) sia nel merito della decisione. La Corte di appello ha affermato che il ragionamento che fonda la decisione di condanna non si basa sui primi campionamenti e sui relativi accertamenti compiuti dal consulente del pubblico ministero, bensì sui dati tecnici acquisiti presso la società dell’appellante e sugli accertamenti compiuti dai periti nominati dal giudice, così che anche l’eventuale e non esistente inutilizzabilità dei primi atti di indagine non inciderebbe in alcun modo sulla ricostruzione dei fatti.
A fronte delle accertate irregolarità nella accettazione e gestione dei materiali di scarto provenienti da lavorazioni industriali e delle altre tipologie di rifiuti, la Corte di appello ha ritenuto evidente la prova della consapevolezza e intenzionalità delle condotte del sig. G. (in particolare pagg.51-53 della motivazione) e considerato che l’esistenza dei delitto di traffico organizzato di rifiuti può ben avere luogo anche nel corso delle attività di un’impresa che è munita di autorizzazioni e che per una parte della sua azione opera in modo conforme alla legge. Nessun dubbio secondo la Corte di appello in ordine alla sussistenza dei reati minori (pag.53 e seguenti). La Corte ha quindi affrontato le censure mosse dal sig. G. alla costituzione delle parti civili e alle determinazioni in ordine ai danni e ai risarcimenti e rideterminato la pena da infliggere all’appellante alla luce della diversa valutazione circa la sussistenza del delitto anche per il sito di (OMISSIS).
3. Nei confronti della sentenza della Corte di appello gli avv. Roberto Bertuol e Alberto Cunaccia nell’interesse del sig. G. hanno presentato un
articolato ricorso che, in estrema sintesi, lamenta:
a. errata applicazione di legge ex art. 606 c.p.p., lett. b) con riferimento alla mancata dichiarazione di inutilizzabilità delle riprese effettuate dalla polizia giudiziaria in violazione degli artt. 189 e 234 cod. proc pen. e degli artt. 13 e 14 Cost.: anche le aree aperte dei luoghi di lavoro e di privata dimora appartengono alla sfera protetta dalle norme qui indicate ed erroneamente il Giudice dell’udienza preliminare e la Corte di appello hanno ritenuto utilizzabili le riprese solo perchè effettuate dall’esterno (si veda Sez. Un., n. 26795 del 2006);
b. errata applicazione di legge ex art. 606 c.p.p., lett. c) con riferimento al D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 197 e artt. 244 e 354 cod. proc. pen.
e art. 223 disp. att. cod. proc. pen. con riferimento ai prelievi di campioni e alle analisi eseguite dalla polizia giudiziaria: si tratta di prelievi che,
contrariamente a quanto affermato dalla Corte di appello (pag. 37) sono stati effettuati dalla polizia giudiziari nel corso dell’anno 2007 e
anteriormente alla iscrizione della notizia di reato e in assenza di autorizzazione del Pubblico ministero;
c. errata applicazione di legge ex art. 606 c.p.p., lett. b) e vizio di motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e) con riferimento alla
affermazione di responsabilità in ordine al reatoD.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, ex art. 260. Il motivo di ricorso si articola su più profili che
concernono: 1) la presenza e validità dell’autorizzazione che la Provincia Autonoma di Trento (PAT) ha rilasciato alla “Ripristini Valsugana S.r.l.” in data 11/10/2007; 2) la destinazione d’uso industriale dell’area di cava destinata al recupero, così come si deve ricavare dall’atto autorizzativo; c) i relativi livelli e caratteri dei rifiuti, sensibilmente diversi da quelli compatibili con la destinazione agricola e boschiva impropriamente fatta propria dai periti e dai giudici di merito; d) la impossibilità di far discendere dall’eventuale illegittimità dell’atto di autorizzazione una responsabilità per il titolare dell’autorizzazione stessa che operi nei limiti ivi fissati; e) la inesistenza del decreto interministeriale che deve disciplinare gli interventi di bonifica e ripristino dei siti a destinazione agricola;
f) la mancata disamina della determinazione n. 336607-221 del 11/10/2007 del PAT-APPA (allegata al ricorso come da indicazione a pag. 28 del ricorso stesso), da cui emerge che i limiti da considerare per i rifiuti smaltiti sono quelli propri dei siti “ad uso commerciale e industriale” come dal D.M. 5 febbraio 1998, art. 5, lett. d-bis, come sostituito dal D.M. 5 aprile 2006, n. 186 e da cui emerge che il posizionamento di un metro di strato vegetale ha riguardo alla chiusura dell’attività di recupero e non alla destinazione dell’area;
d. errata applicazione di legge ex art. 606 c.p.p., lett. b) con riferimento, tra l’altro, al D.M. 5 febbraio 1998, art. 8, comma 1, e vizio di
motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e) con riferimento alle decisioni del Giudice dell’udienza preliminare e della Corte di appello (si
vedano pagg. 44-48) in ordine alla legittimità dei campionamenti e, dunque, alla correttezza e fondatezza delle conclusioni del consulente del
Pubblico ministero e dei periti.
d.1 In primo luogo il ricorrente lamenta (pag.34 e ss.) l’assoluta carenza di motivazione e l’illogicità della stessa nella parte in cui omette di
rispondere (pagg.44-48 della sentenza) alle censure mosse con l’atto di appello alle modalità di campionamento per contrasto con le procedure e con gli standard emergenti dalla norma UNI 10802, obbligatoria D.M. 5 febbraio 1998, ex art. 8, comma 1, senza dimenticare che le operazioni di “quartatura” che secondo la Corte di appello garantirebbero la rappresentatività dei campioni non risultano neppure effettuate, salvo un solo caso (consulenza dr. F.); ne deriva che le massime di esperienza e gli argomenti logici utilizzati dai giudici di appello aggirano il tema posto con l’atto di impugnazione e relativo alla non corrispondenza alla legge delle modalità di campionamento, con conseguente non significatività dei risultati delle analisi; lo stesso dicasi per i pareri dell’Istituto Superiore della Sanità, a loro volta obbligatori.
d.2 In secondo luogo il ricorrente lamenta (pag. 42 e ss.) una serie di vizi del processo ricostruttivo dei valori e dei livelli inquinanti dei materiali depositati, vizi che muovono dalle modalità con cui è stata effettuata la caratterizzazione e dalla conseguente “incertezza analitica associata” per condurre, una volta ritenuti esistenti livelli di incertezza non considerati dal consulente del Pm e dai periti, alla mancanza di fondamento dei risultati esposti dai periti e ritenuti decisivi dai giudici di appello nonostante gli esiti delle analisi del laboratorio (OMISSIS).
d.3 In terzo luogo il ricorrente lamenta (pag.64 e ss.) che la Corte di appello ha del tutto ignorato i risultati del Gruppo di Lavoro Interdisciplinare istituito dalla Provincia autonoma (come da memoria del 2/11/2012), che hanno escluso riflessi negativi sull’ambiente causati dal sito di (OMISSIS).
d.4 In quarto luogo (pag.67) il ricorrente lamenta l’errore di metodo in cui sono incorsi i giudici allorchè operano valutazioni con riferimento a
controlli ex post e non, come sarebbe doveroso, secondo ricostruzioni del percorso dei materiali e valutazioni ex ante;
e. errata applicazione di legge ex art. 606 c.p.p., lett. b), e in relazione al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 184, comma 5, nonchè vizio di motivazione
ex art. 606 c.p.p., lett. e), con riguardo alla valutazione di “ingente quantità” dei rifiuti depositati presso il sito di (OMISSIS) (art. 260, citato).
Osserva il ricorrente che la prima sentenza (pagg.46-59) aveva ritenuto non accoglibili le valutazioni presuntive utilizzate dalla pubblica accusa in ordine ai quantitativi dei materiali illecitamente conferiti, mentre la Corte di appello (pagg.41-43) ha escluso che si operi mediante presunzioni e affermato che è possibile ricostruire le quantità sulla base degli accertamenti obiettivi condotti dai periti; la motivazione, tuttavia, non da conto di quali siano gli elementi che giustificano il radicale mutamento di giudizio e non offre alcun solido aggancio che giustifichi il rovesciamento della sentenza assolutoria;
f. errata applicazione di legge ex art. 606 c.p.p., lett. b), e in relazione al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 260, comma 1 e all’art. 259, commi 3 e 4,
nonchè vizio di motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. e), con riguardo al giudizio di responsabilità per il delitto di traffico organizzato di rifiuti nel
sito di (OMISSIS) per avere la Corte di appello fornito una risposta del tutto inadeguata ed errata alle questioni che le erano state sottoposte con i motivi di appello che vengono riprodotti in sede di ricorso (pag. 78 e ss.) e secondo i quali: 1) le aziende gestite dal ricorrente sono sorte in anni precedenti alla sua gestione e operano nel settore sulla base di autorizzazioni; 2) risulta errata e infondata la estensione operata dai giudici di merito alle aziende legali dei criteri di valutazione propri di una fattispecie nata per reprimere l’azione di organizzazioni illegali; 3) la mancata incriminazione di altri soggetti concorrenti nelle operazioni, quali i produttori dei rifiuti, non costituisce un elemento irrilevante ma dimostra l’insussistenza della organizzazione che i giudici di appello hanno sanzionato; 4) erroneamente sono stati ritenuti esistenti il dolo specifico e il fine di profitto, mentre all’esistenza di un reale profitto si perviene dalla corte territoriale in modo del tutto generico e immotivato, senza dare conto delle ragioni che supererebbero le contrarie valutazioni esposte dal ricorrente anche a mezzo memorie; 5) la insussistenza (pag.88 e ss.) della “totale difformità” delle attività svolte rispetto a quelle autorizzate, posto che tutte le tipologie di rifiuti presenti in situ rientrano fra quelle previste dall’atto di autorizzazione e che non sussistono conseguenze inquinanti; 6) la insussistenza delle condotte di gestione illegale da parte del ricorrente, avendo lo stesso fornito una spiegazione alternativa delle conversazioni intercettate e la eventuale derubricazione dei fatti da rubricare sotto le meno gravi ipotesi contravvenzionali;
g. errata applicazione di legge ex art. 606 c.p.p., lett. b), e in relazione al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 258, comma 4, nonchè vizio di motivazione
ex art. 606 c.p.p., lett. e), con riguardo al reato sub B) della rubrica, difettando ogni risposta alle censure che escludevano l’esistenza stessa della materialità dei falsi contestati;
h. errata applicazione di legge ex art. 606 c.p.p., lett. b), in relazione all’art. 349 cod. pen. per essere assente ogni concreta offesa del bene
protetto e per avere la corte territoriale adottato una interpretazione formalistica della disposizione di legge senza rispondere alle critiche
contenute nei motivi di appello;
i. errata applicazione di legge ex art. 606 c.p.p., lett. b), e in relazione all’art. 484 cod. pen. e al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 258, comma 5, per
avere la corte territoriale omesso di dare risposta all’invocata applicazione del principio di specialità ex art. 16 cod. pen., dovendo i fatti essere
inquadrati nella ipotesi della mera violazione amministrativa di compilazione irregolare del registro;
j. errata applicazione di legge ex art. 606 c.p.p., lett. c), con riferimento all’ordinanza 22/2/2011 emessa dal Giudice dell’udienza preliminare e
non riconosciuta dalla Corte di appello in relazione alla costituzione di parte civile del Ministero dell’Ambiente e della sig.ra B.B., avendo i giudici di merito errato nel ritenere le costituzioni tempestive a discussione ormai iniziata (Sez. 3, n. 35700 del 22/6/2010);
k. errata applicazione di legge ex art. 606 c.p.p., lett. b), e vizio di motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. e) con riferimento alla ammissione quale
parte civile del WWF e alla liquidazione del danno in suo favore;
l. errata applicazione di legge ex art. 606 c.p.p., lett. b), e vizio di motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. e) con riferimento alla liquidazione di
danno in favore di tutte le parti civili.
Motivi della decisione
1. Il ricorso merita parziale accoglimento nei termini che saranno di seguito specificati con riferimento alla posizione delle parti civili.
2. La Corte ritiene di affrontare preliminarmente le questioni di natura processuale contenute nei primi motivi di ricorso. Sul punto va rilevato che si è in presenza di questioni in principio meritevoli di attenzione, ma in concreto non rilevanti. Come emerge dalla lettura della sentenza della Corte di appello, gli esiti delle prime indagini amministrative e dei primi accertamenti della polizia giudiziaria non hanno formato oggetto di esame da parte del giudice di merito e non sono stati considerati utili ai fini della decisione.
Se, dunque, può non condividersi la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui (pag. 37) riconduce i primi prelevamenti di campione all’interno della fase di indagine successiva alla iscrizione della notizia di reato, resta il fatto che quei campioni e le relative analisi non formano parte del materiale probatorio che la Corte di appello ha ritenuto rilevante per il proprio giudizio, fondato invece sull’esito dei successivi accertamenti documentali e peritali; parimenti, nessun rilievo hanno assunto in concreto gli esiti delle videoriprese realizzate dalla polizia giudiziaria, esiti dei quali non vi è traccia in motivazione. Del resto, la stessa Corte di appello, pur procedendo ad esaminare i motivi di
impugnazione presentati su entrambi i profili, ha chiaramente formulato un’analoga considerazione (pag. 36). A ciò consegue che nessun
interesse concreto (art. 568 c.p.p., comma 4) sussiste per il ricorrente nell’ottenere una pronuncia della Corte di legittimità in ordine alla
utilizzabilità di quel materiale probatorio.
3. Venendo alle censure proposte con riferimento al giudizio di responsabilità penale, la Corte ritiene necessario affrontare immediatamente due questioni che rivestono rilievo generale e che sono potenzialmente assorbenti di ogni altro profilo: la destinazione del sito di (OMISSIS) e le modalità di accertamento delle violazioni in tema di natura e caratteristiche dei materiali depositati nei due siti oggetto di esame.
4. Muovendo da questo secondo aspetto, deve ritenersi che il ricorso non colga nel segno quando nel quarto motivo riconduce gli accertamenti ex post, propri delle fasi delle indagini e del giudizio, alle logiche e alle metodologie proprie della fase di gestione dei rifiuti. Si tratta di un errore di impostazione che la stessa Corte di appello critica allorchè osserva come una rigorosa applicazione di quel principio condurrebbe alla impossibilità di giungere a un accertamento penale tutte le volte in cui questo venga compiuto successivamente alla commissione dei presunti illeciti. In effetti, se non vi sono dubbi che la catalogazione di un prodotto come rifiuto e la determinazione delle sue caratteristiche richiedono il rispetto delle metodologie fissate dalla disciplina vigente al fine di essere considerate attendibili e – dunque – tecnicamente e giuridicamente probanti, tutto questo è possibile nei casi in cui il singolo prodotto sia campionato e analizzato singolarmente e preventivamente, così come avviene allorchè vengono effettuate le analisi funzionali alla sua classificazione (e qui il tema dei rapporti di prova esaminati in sentenza emerge in tutta la sua rilevanza). Ma questo è possibile nei casi in cui il prodotto sia gestito in modo corretto e ordinario oppure nei casi in cui sia assoggetta bile ad analisi tempestiva.
Il quadro fattuale, e con esso il regime giuridico, muta radicalmente allorchè si è in presenza di materiali raccolti e depositati da tempo, e per di
più miscelati tra loro a seguito dell’accumularsi di prodotti di diversa provenienza e caratteristiche. La miscelazione dei prodotti (intenzionale o meno che sia) comporta una modificazione delle condizioni e apre alla possibilità di interazioni fra i diversi prodotti in grado di alterarne le normali caratteristiche; elementi che il legislatore ha posto alla base del generale divieto di operare miscelazioni che coinvolgano rifiuti qualificati come “pericolosi” (D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, artt. 187 e 256).
5. Quanto si è detto impone di concludere che in presenza di una discarica che si assume gestita irregolarmente e che abbia raccolto e miscelato
rifiuti diversi, gli organi di accertamento si trovano a operare non in costanza di movimentazione dei singoli rifiuti ma dopo che le condotte si sono perfezionate e i prodotti trasportati e depositati hanno perso la propria individualità. Le metodologie di campionamento e di analisi non possono essere le medesime di quelle che concernono la singola partita. Questo impone agli organi di accertamento di procedere secondo le migliori tecniche disponibili e con le cautele necessarie ad evitare conclusioni non solide sotto il profilo tecnico e quello scientifico, assicurando alla parte privata la possibilità di un effettivo contraddittorio a supporto della correttezza della metodologia seguita.
Anche sotto questo profilo il ricorrente muove censure alla decisione della Corte di appello, ritenendo che la procedura seguita dai consulenti
tecnici non garantisca la correttezza del campionamento e dei risultati. Il ricorso introduce sul punto questioni di fatto che la Corte non può
esaminare. La Corte di appello ha considerato le critiche mosse dal sig. G. alla prima decisione e ha argomentatamente concluso che gli esiti degli accertamenti tecnici sulle caratteristiche dei materiali depositati in discarica sono stati raggiunti in modo corretto ed efficace, così che il confronto fra tali esiti e i dati riportati sulla documentazione ufficiale non lascerebbe dubbi circa la non corrispondenza fra quando ricevuto nei due siti e quanto autorizzato (pag. 46 e seguenti della sentenza impugnata). Si tratta di valutazione di merito che è supportata da argomenti privi di vizi ermeneutici e logici e pertanto sottratta al sindacato in sede di legittimità.
6. A tale ultima considerazione la Corte ritiene di aggiungere che nell’articolata esposizione operata in ricorso alle pagine 42 e seguenti si
ravvisano due fondamentali difetti che rendono questa parte dell’impugnazione comunque non accoglibile. Il primo riguarda il richiamo alle analisi del laboratorio (OMISSIS), che secondo il ricorrente si porrebbero in contrasto insanabile con la fondatezza dei risultati tecnici accolti dai giudici di merito: non è dato comprendere alla Corte sotto quale profilo sussisterebbe tale incompatibilità e sotto quale profilo andrebbe ritenuta fallace l’analitica indicazione delle differenze e irregolarità che risulta esposta nell’allegato 3 al capo di imputazione. Il secondo difetto riguarda il richiamo (pagg. 64-67) agli esiti del Gruppo di lavoro interdisciplinare istituito dalla Provincia Autonoma: il reato contestato al sig. G. ha come oggetto la illegale gestione dei rifiuti e non l’esistenza di una concreta contaminazione del terreno nelle sue componenti, così che l’assenza di indicatori di inquinamento non incide sulla struttura e sugli elementi costitutivi della ipotesi di illecito indicata nel capo A) dell’imputazione (si veda anche Sez. 3, n. 19018/13, udienza del 20/12/2012, Accarino e altri).
7. Il secondo profilo che deve essere affrontato prima di passare all’esame delle altre censure riguarda la destinazione dell’area su cui insiste il
sito di (OMISSIS). Ove, infatti, si considerasse fondata la posizione del ricorrente e l’area del sito dovesse essere qualificata a destinazione
commerciale-industriale, verrebbe meno uno dei presupposti fondamentali della non corrispondenza fra autorizzato e depositato che i giudici di appello hanno posto a fondamento della decisine di condanna. La posizione del ricorrente fa leva sull’evoluzione della disciplina urbanistica, che sulla base della variante al P.R.G. dell’anno 2002 condurrebbe ad escludere la destinazione agricola e boschiva dell’area.
8. Sul punto la Corte ritiene che l’impostazione proposta dal ricorrente non possa trovare condivisione e che il ricorso debba essere rigettato. Il
progetto di risanamento del sito costituito da una cava dismessa fissa i contenuti dell’intervento e vincola il soggetto privato che si assume il
compito di portarlo a compimento.
Va da sè, dunque, che solo una modifica formale di quel progetto può variare i termini dell’accordo e dell’impegno assunto. Di tale modifica non vi è traccia nè nel provvedimento impugnato nè nel ricorso.
Ciò premesso, deve rilevarsi che ancora nell’anno 2007, e dunque dopo l’approvazione della variante al P.R.G. richiamata dal ricorrente, l’ente
comunale competente ha confermato la condivisione del progetto di risanamento del sito di (OMISSIS) nei termini iniziali, tanto che non
impropriamente la Corte di appello richiama la previsione della collocazione di terreno per l’altezza di un metro destinato a coprire i rifiuti al
termine dell’intervento. In effetti, dalla lettura della Delib. 11 ottobre 2007, prot. n. 3366/07-U221 della Provincia Autonoma di Trento (allegata al ricorso) si evince che: a) la soc. “Ripristini Valsugana” nella richiesta per l’ottenimento della modifica/voltura dell’iscrizione si è impegnata a rispettare i termini dell’originario progetto di recupero autorizzato dal Comune di Roncegno con atto del 6/10/1998 e successiva varante del 14/9/2000; b) che il Sindaco del Comune di Roncegno ha espresso parere favorevole alla richiesta della società includendo nel provvedimento la precisazione che la ditta dovesse rispettare la quota di 470 s.l.m. e dovesse posizionare uno strato di terreno vegetale dello spessore di un metro “come previsto dalle autorizzazioni e relazioni geologica precedenti (gennaio 1987)”.
9. Tali elementi inducono la Corte a ritenere priva di vizi la motivazione della Corte di appello, non apparendo le condizioni apposte dal Sindaco nel 2007 in sede di parere compatibili con l’ipotesi che il sito della ex cava di (OMISSIS) fosse destinato ad accogliere impianti commerciali e industriali. A tale proposito va considerato che sul piano ermeneutico e logico la (eventuale) destinazione di un’area più vasta a uso commercialeindustriale non toglie affatto che una sua porzione, caratterizzata da specifica destinazione a recupero mediante l’accumulo e la copertura di rifiuti non pericolosi, resti ancorata alla pregressa destinazione a verde e non sia utilizzabile per la realizzazione di interventi urbanistici ed edilizi che richiedono la creazione di fondazioni o, comunque, la modifica del terreno oggetto di recupero ambientale.
10. Sotto diversa prospettiva, poi, la Corte ritiene che il ricorrente proponga una lettura non condivisibile circa la destinazione dell’area allorchè afferma che la previsione di una “discarica controllata” o di una discarica per materiali inerti comporti che la destinazione dell’area sia da qualificare come industriale. Il piano di recupero di un’area di cava destinata a ricovero di rifiuti non pericolosi è esattamente finalizzato a
sostituire il mero accumulo di materiali con un intervento complesso di “recupero” che restituisca l’area alla sua destinazione, inevitabilmente
diversa da quella esistente nella fase in cui la cava è in funzione o viene utilizzata come discarica. Negli interventi di recupero opera, in altri
termini, un logica opposta a quella che il ricorrente invoca: sono la tipologia di rifiuti e le modalità di accumulo e di gestione dei materiali che
devono risultare compatibili con la destinazione del sito che il progetto prevede quale esito al termine delle operazioni di riempimento della cava, che devono essere effettuate secondo le linee guida e le cautele programmate dall’ente pubblico e accettate da parte del contraente che assume l’incarico.
Trasporto dei rifiuti, la confisca dei mezzi utilizzati.
Vogliamo con questa nota, prendere in esame L’art. 259 del D. Lgs. n. 152 del 2006, che determina nel caso specifico, il reato di trasporto illecito di rifiuti per il quale è prevista la confisca del mezzo. Va in primo luogo precisato che I’art. 259 del D. Lgs. n.152 del 2006 prevede che in caso di reato di trasporto illecito di rifiuti consegua ex lege la confisca del mezzo, nulla tuttavia venendo disposto con riguardo alla posizione del terzo incolpevole proprietario del veicolo. Una interpretazione della norma costituzionalmente orientata nonché aderente ai principi di cui alla Corte Edu (laddove in particolare si è affermato che l’art. 7 CEDU esige, per punire e cioè per l’ irrogazione di una pena e quindi anche della misura della confisca, la ricorrenza di un legame di natura intellettuale (coscienza e volontà) che permetta di rilevare un elemento di responsabilità nella condotta del soggetto cui viene applicata una sanzione sostanzialmente penale (v. Corte Edu, 09/02/ 1995, Welch c. Regno Unito; Corte Edu, 30/08/2007, Sud Fondi srl c. Italia; Corte Edu, 20/01/2009, sud Fondi c. Italia; Corte Edu, 17/12/2009, M. c. Germania) deve necessariamente condurre a ritenere che la speciale confisca in esame deroghi ai principi generali in tema di obbligatorietà, essendo disciplinata, per gli aspetti non regolamentati dalla norma speciale, dalla previsione dell’art. 240 c.p. ed, in particolare, dal comma 3, laddove si prevede, per effetto del richiamo ai commi 1 e 2 n.1, che la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto il prezzo non opera ove queste appartengano a persona estranea al reato. Pertanto, con la sentenza della Cassazione Penale Sez. III n. 1475 del 11 gennaio 2013 (Cc 22 nov. 2012).
Il Trasportatore è responsabile dei rifiuti che trasporta e dove li trasporta
Al contrario delle leggende metropolitane che molto spesso si sentono in giro, il trasportatore ha l’obbligo di verificare che la documentazione autorizzativa ed inerente il trasporto, di tutti i soggetti coinvolti nella filiera della gestione del rifiuto, sia in ordine.
Questo è quanto stabilito dalla sentenza della corte di cassazione penale, sezione III, sentenza del 9 Aprile 2013 n° 16209 e che offre spunto per alcune importanti riflessioni sull’argomento.
La sentenza è riferita al caso di un trasportatore professionale di rifiuti che ha conferito i rifiuti presi in carico dal produttore ad un impianto non autorizzato alla gestione degli stessi.
Gli operatori del settore sanno benissimo che la filiera del rifiuto è generalmente costituita dalle seguenti figure:
– Produttore / detentore del rifiuto
– Trasportatore
– Destinatario
Di tanto in tanto si riscontra anche la presenza dell’Intermediario, figura ancora in bilico nell’ordinamento italiano nonostante gli sia stata riconosciuta una categoria all’interno dell’Albo Nazionale Gestori Ambientali.
Ciò che è più importante è sapere che alcuni degli operatori appena citati, ossia tutti meno il