Combustione illecita di rifiuti: Sentenza Cassazione

Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 27-02-2014) 01-08-2014, n. 34098
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIALE Aldo – Presidente –
Dott. AMORESANO Silvio – Consigliere –
Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –
Dott. GAZZARA Santi – Consigliere –
Dott. ACETO Aldo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza sul ricorso proposto da:
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Avellino;
nel procedimento nei confronti di:
I.M., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 08/04/2013 del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Avellino;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Aldo Aceto;
letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Eugenio Selvaggi, che ha concluso chiedendo
l’annullamento della sentenza e la trasmissione degli atti al GIP di Avellino per l’ulteriore seguito;
letta la memoria difensiva dell’Avv. Maria Caprio, difensore d’ufficio dell’imputato, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso e la conferma dell’impugnata sentenza.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza dell’8 aprile 2013, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Avellino, richiesto dal Procuratore della Repubblica presso quello stesso Tribunale di emettere decreto penale di condanna nei confronti di I. M. in ordine al reato di cui all’art. 81 cpv. c.p., art. 256 c.p., comma 1, lett. a), in relazione al D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 185, lett. f), eart. 674 c.p., commesso in Avellino il 24/10/2012, ha assolto l’imputato dal reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, cit., perchè il fatto non sussiste, ed ha contestualmente rigettato la richiesta in ordine al residuo reato di cui all’art. 674 c.p., per il quale ha disposto la restituzione degli atti al pubblico ministero.
1.1. All’imputato si contesta di aver effettuato “senza alcuna autorizzazione, un’attività di smaltimento, mediante incenerimento a terra, di scarti vegetali (rifiuti speciali non pericolosi: CER 02.01.03 non qualificabili come materiale agricolo o forestale naturale utilizzato in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente nè mettono in pericolo la salute umana), nonchè perchè illegalmente provocava, in luogo di pubblico transito e comunque verso luoghi privati di altrui uso, fumi atti ad offendere o molestare le persone”.
1.2. A fondamento della propria decisione il Giudice ha sostenuto che: 1) l’abbruciamento dei residui derivanti dalla pulitura o dalla manutenzione del fondo costituisce uso contadino locale invalso; 2) si tratta di pratica agronomica lecita perchè prevista e disciplinata tanto dal legislatore nazionale (L. n. 353 del 2000) quanto dal legislatore regionale; 3) la L.R. Campania 7 maggio 1996, n. 11, art. 6, commi 3 e 6, del capo I dell’allegato 3, in particolare, prevede espressamente l’attività di “abbruciamento delle ristoppie e degli altri residui vegetali”, regolamentandone le concrete modalità e prescrivendo le relative attività preparatorie;
4) la violazione delle prescrizioni è punita a titolo di illecito amministrativo (art. 47, lett. b, capo I, allegato C, alla L.R. Campania cit.); 5) a norma del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 185, comma 1, lett. f), (come significativamente interpolato dal D.Lgs. 13 dicembre 2010, n. 205, art. 13), inoltre, non rientrano nel campo di applicazione del decreto, la paglia, gli sfalci e le potature, nonchè altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzato in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente nè mettono in pericolo la salute umana;
6) le ceneri di legno, provenienti da legname non trattato chimicamente dopo l’abbattimento, sono utilizzabili come concime (come prevede
il regolamento CEE n. 2092/91, allegato II, parte A);
7) la cenere, inoltre, è notoriamente utilizzata in agricoltura come concime, come anche si può anche evincere dall’articolo di una rivista
specializzata nel settore (“Vita in campagna 2/2006”), dal quale si evince che per cento metri quadri di terreno necessitano non più di 25 kg. di
cenere, pari a 5 metri cubi di legna da ardere; 8) si tratta di quantità che sono assolutamente compatibili con la modesta attività di bruciatura
posta in essere nel caso di specie, come rilevata fotograficamente dalla polizia giudiziaria; 9) gli usi dell’agricoltura e la stessa normativa regionali, costituiscono elementi che, in ogni caso, depongono a favore della buona fede di chi pratica questa attività, escludendo che possa avere coscienza della antisocialità della propria condotta.
2. Ricorre per Cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Avellino eccependo, con unico motivo di ricorso, la violazione di legge, l’erronea applicazione-interpretazione di legge penale, il travisamento della prova.
2.1.Osserva il ricorrente che: 1) a norma del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 185, comma 1, lett. f), non è sufficiente l’esistenza di una prassi in
agricoltura, ma è necessario che si tratti di processi o metodi che non danneggiano l’ambiente, nè mettono in pericolo la salute umana; 2) nel
caso di specie, l’ARPAC, con nota informativa allegata al ricorso, aveva evidenziato che l’attività oggetto di imputazione non rientra tra le tecniche agricole che non danneggiano l’ambiente; 3) si tratta di rifiuti espressamente previsti dall’allegato A alla parte IV del D.Lgs. n. 152 del 2006; 4) l’attività di smaltimento mediante incenerimento a terra è espressamente prevista dall’allegato B alla parte quarta del D.Lgs. n. 152 del 2006 (D10); 5) il giudice, dunque, non solo ha errato nell’applicazione della norma ma ha anche travisato la prova derivante dal certificato
ARPAC, ponendo a fondamento della propria decisione la propria personale scienza (un articolo di una rivista, peraltro nemmeno presente in atti);
6) la normativa regionale citata in sentenza disciplina la sola attività in essa prevista ma non può incidere, nel senso di escluderlo, sul regime
autorizzatorio di necessaria competenza esclusiva dello Stato; 7) il che esclude anche la buona fede di chi ponga in essere questa attività senza
autorizzazione; 8) peraltro si tratta di norme che non sono tra loro in rapporto di specialità (dovendosi far riferimento alla specialità in astratto) e, quand’anche lo fossero, quella penale sarebbe applicabile perchè in rapporto di specialità unilaterale per specificazione.
Motivi della decisione
3. Il ricorso è fondato.
4.Il quadro normativo di riferimento:
4.1. A norma del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, comma 1, lett. a), costituisce rifiuto “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o
abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi”;
4.2. Ai sensi delle successive lettere f) e g), dello stesso articolo, “detentore” del rifiuto è (anche) colui la cui attività produce rifiuti;
4.3. Secondo la definizione datane dalla lettera z), l’attività di smaltimento del rifiuto consiste in “qualsiasi operazione diversa dal recupero, anche quando l’operazione ha come conseguenza secondaria il recupero di sostanze ed energia. L’allegato B alla parte IV del presente decreto riporta un elenco non esaustivo delle operazioni di smaltimento”;
4.4. L’allegato B – testè richiamato – include, tra le operazioni di smaltimento, “l’incenerimento a terra” (D10);
4.5. Giusta la previsione di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 214, lo smaltimento di rifiuti, effettuato direttamente dal produttore, nel luogo di
produzione dei rifiuti stessi, non è consentito in assenza di comunicazione di inizio attività;
4.6. Ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 184, comma 2, lett. e), i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi sono classificati (e considerati)
come rifiuti urbani;
4.7. Ai sensi dell’art. 184, comma 3, lett. a) i rifiuti provenienti da attività agricole e agro-industriali ai sensi dell’art. 2135 c.c., sono considerati
rifiuti speciali;
4.8. A norma del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 185, comma 1, lett. f), non rientrano nel campo di applicazione della parte quarta del decreto
“paglia, sfalci e potature, nonchè altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la
produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente nè mettono in pericolo la salute umana”;
4.9. L’allegato D alla parte IVA del d.lgs. 152/2006 (Elenco dei rifiuti istituito dalla Decisione della Commissione 2000/532/CE del 3 maggio 2000) contempla (punto 02.01) i “rifiuti prodotti da agricoltura, orticoltura, acquacoltura, selvicoltura, caccia e pesca”;
4.10. A norma del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 184 bis, “E’ un sottoprodotto e non un rifiuto ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. a), qualsiasi
sostanza od oggetto che soddisfa tutte le seguenti condizioni: a) la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto; b) è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi; c) la sostanza o  essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale; d) l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la
sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana”;
4.11. Ai sensi del successivo art. 184 ter, “un rifiuto cessa di essere tale, quando è stato sottoposto a un’operazione di recupero, incluso il
riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i criteri specifici, da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni: a) la sostanza o l’oggetto è comunemente utilizzato per scopi specifici; b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto; c) la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti; d) l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana”;
4.12. La L.R. Campania 7 maggio 1996, n. 11, art. 6, comma 5, recita:
“In altre zone la bruciatura delle ristoppie e di altri residui vegetali, salvo quanto previsto dalla L.R. 10 aprile 1996, n. 8, art. 25, è permesso
quando la distanza dai boschi è superiore a 50 metri purchè il terreno su cui l’abbruciamento si effettua, venga preventivamente circoscritto ed
isolato con una striscia arata della larghezza minima di metri 5. La pratica è comunque vietata in presenza di vento”;
4.13. Il comma 6 recita: “Nei castagneti da frutto è consentita la ripulitura del terreno dai ricci, dal fogliame, dalle felci, mediante la raccolta,
concentramento ed abbruciamento. L’abbruciamento è consentito dal 1 luglio al 30 marzo, dall’alba alle ore 10.00. Il materiale raccolto in piccoli mucchi andrà bruciato con le opportune cautele su apposite radure predisposte nell’ambito del castagneto. Il Sindaco, per particolari condizioni ambientali, su proposta delle autorità forestali competenti, può sospendere le operazioni di bruciatura nel periodo compreso tra il 1 luglio ed il 30 settembre”;
4.14. A norma del successivo comma 7, “la bruciatura delle stoppie e la pulizia dei castagneti da frutto debbano essere preventivamente
denunciati al Sindaco ed al Comando Stazione Forestale competente”;
4.15. l’art. 47, lett. b), capo I, allegato C, L.R. Campania cit. sanziona con pena pecuniaria la violazione dell’art. 6, commi 6 e 7, stessa legge.
5. L’evoluzione del quadro normativo nel tempo.
5.1. Il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 184 comma 2, lett. e), nella sua versione iniziale includeva, tra i rifiuti urbani, “i rifiuti vegetali provenienti da
aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali” (versione mai, sino ad oggi, modificata); il successivo comma 3, lett. a), includeva tra i rifiuti
speciali “i rifiuti da attività agricole e agro-industriali”;
5.2. Il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 185, nella sua versione originaria, escludeva dal l’ambito applicativo del decreto alcuni rifiuti agricoli (comma 1, lett. e: “materie fecali ed altre sostanze naturali non pericolose utilizzate nelle attività agricole ed in particolare i materiali litoidi o vegetali e le terre da coltivazione, anche sotto forma di fanghi, provenienti dalla pulizia e dal lavaggio dei prodotti vegetali riutilizzati nelle normali pratiche agricole e di conduzione dei fondi rustici, anche dopo trattamento in impianti aziendali ed interaziendali agricoli che riducano i carichi inquinanti e potenzialmente patogeni dei materiali di partenza”) nonchè i “materiali vegetali non contaminati da inquinanti provenienti da alvei di scolo ed irrigui, utilizzabili tal quale come prodotto, in misura superiore ai limiti stabiliti con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio da emanarsi entro novanta giorni dall’entrata in vigore della parte quarta del decreto” (lett. h);
5.3. A seguito di modifiche introdotte con D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4 (art. 2, comma 22), il comma 1, lett. e), dell’art. 185 cit., è stato
circoscritto alle sole “materie fecali ed altre sostanze naturali non pericolose utilizzate nelle attività agricole” – contestualmente il comma 2, per
quanto di interesse, è stato così riformulato: “Possono essere sottoprodotti, nel rispetto delle condizioni dell’art. 183, comma 1, lett. p): materiali fecali e vegetali provenienti da attività agricole utilizzati nelle attività agricole o in impianti aziendali o interaziendali per produrre energia o calore, o biogas; materiali litoidi o terre da coltivazione, anche sotto forma di fanghi, provenienti dalla pulizia o dal lavaggio di prodotti agricoli e riutilizzati nelle normali pratiche agricole e di conduzione dei fondi”;
5.4. l’art. 183, lett. p), richiamato dall’art. 185, comma 2, a sua volta modificato dal D.Lgs. n. 4 del 2008, (art. 2, comma 20), così recitava:
“sottoprodotto: sono sottoprodotti le sostanze ed i materiali dei quali il produttore non intende disfarsi ai sensi dell’art. 183, comma 1, lettera a), che soddisfino tutti i seguenti criteri, requisiti e condizioni: 1) siano originati da un processo non direttamente destinato alla loro produzione; 2) il loro impiego sia certo, sin dalla fase della produzione, integrale e avvenga direttamente nel corso del processo di produzione o di utilizzazione preventivamente individuato e definito; 3) soddisfino requisiti merceologici e di qualità ambientale idonei a garantire che il loro impiego non dia luogo ad emissioni e ad impatti ambientali qualitativamente e quantitativamente diversi da quelli autorizzati per l’impianto dove sono destinati ad essere utilizzati; 4) non debbano essere sottoposti a trattamenti preventivi o a trasformazioni preliminari per soddisfare i requisiti merceologici e di qualità ambientale di cui al punto 3), ma posseggano tali requisiti sin dalla fase della produzione; 5) abbiano un valore economico di mercato”;
5.5. con D.L. 8 luglio 2010, n. 105, convertito, con modificazioni, dalla L. 13 agosto 2010, n. 129 (art. 1, comma 3), il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 185, comma 2, è stato ulteriormente modificato nel senso che “possono essere sottoprodotti, nel rispetto delle condizioni dell’art. 183,
comma 1, lett. p), materiali fecali e vegetali provenienti da sfalci e potature di manutenzione del verde pubblico e privato, oppure da attività
agricole, utilizzati nelle attività agricole, anche al di fuori del luogo di produzione, ovvero ceduti a terzi, o utilizzati in impianti aziendali o
interaziendali per produrre energia o calore, o biogas”;
5.6. Con D.Lgs. 3 dicembre 2010, n. 205: 1) il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 185, è stato definitivamente modificato nei termini sopra già riportati
sub punto 4.8; 2) la categoria dei sottoprodotti (di cui al previgente D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, lett. p) è stata autonomamente disciplinata
dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 184 bis, di nuova introduzione; 3) è stata prevista la cessazione della qualifica di rifiuti (i c.d. end of waste)
secondo la disciplina prevista dall’art. 184 ter (trascritto, per la parte di interesse, al punto 4.11); 4) l’art. 184, comma 3, lett. a), è stato
modificato nel senso attualmente vigente (come riportato ai punti 4.6 e 4.7); 5) è stata modificata la disciplina dei sottoprodotti (prevista dal
nuovo art. 184 bis, nel testo riportato sub punto n. 4.10);
5.7. Con D.L. 10 dicembre 2013, n. 146, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 febbraio 2014, n. 6, è introdotto il nuovo reato di “Combustione illecita di rifiuti” (D.Lgs. n. 152 del 2006,art. 256 bis), secondo il quale “1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque appicca il fuoco a rifiuti abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata è punito con la reclusione da due a cinque anni. Nel caso in cui sia appiccato il fuoco a rifiuti pericolosi, si applica la pena della reclusione da tre a sei anni. Il responsabile è tenuto al ripristino dello stato dei luoghi, al risarcimento del danno ambientale e al pagamento, anche in via di regresso, delle spese per la bonifica; 2. Le stesse pene si applicano a colui che tiene le condotte di cui all’art. 255, comma 1, e le condotte di reato di cui agli artt. 256 e 259, in funzione della successiva combustione illecita di rifiuti; 3. La pena è aumentata di un terzo se il delitto di cui al comma 1 è commesso nell’ambito dell’attività di un’impresa o comunque di un’attività organizzata. Il titolare dell’impresa o il responsabile dell’attività comunque organizzata è responsabile anche sotto l’autonomo profilo dell’omessa vigilanza sull’operato degli autori materiali del delitto comunque riconducibili all’impresa o all’attività stessa; ai predetti titolari d’impresa o responsabili dell’attività si applicano altresì le sanzioni previste dal D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, art. 9, comma 2; (….) 6. Si applicano le sanzioni di cui all’art. 255 se le condotte di cui al comma 1 hanno a oggetto i rifiuti di cui all’art. 184, comma 2, lett. e)”.
6. Le argomentazioni del Giudice per le indagini preliminari e delle parti.
6.1. Gli argomenti del Giudice per le indagini preliminari e del Procuratore della Repubblica ricorrente sono già stati sopra sinteticamente riportati.
6.2. Nella memoria difensiva l’imputato insiste sul fatto che “bruciare i residui agricoli equivale a produrre ceneri che, da sempre, vengono
utilizzate come fertilizzanti”, in accordo a pratiche agricole, da sempre invalse nel mondo contadino, avallate anche da numerosi studi scientifici che ne dimostrano l’efficacia fertilizzante.
7. Le conclusioni della Corte di Cassazione.
7.1. Gli sfalci e le potature, come ogni altro rifiuto agricolo, costituiscono rifiuto quando il produttore se ne disfi;
7.2.la loro provenienza da un’attività agricola, ancorchè non svolta con le forme imprenditoriali di cui all’art. 2135 c.c., non incide sulla loro natura di “rifiuto”, ma solo sulla loro classificazione;
7.3. i rifiuti agricoli, infatti, restano tali anche se prodotti in contesti non imprenditoriali (dovendosi intendere per imprenditore agricolo anche il piccolo coltivatore agricolo di cui all’art. 2083 c.c.);
7.4. ferma restando la loro natura di rifiuti, il D.Lgs. n. 152 del 2006, ne ha sempre condizionato, nel tempo, l’esclusione dal proprio ambito di
applicabilità al riutilizzo diretto in agricoltura;
7.5.il concetto di “utilizzo” è presente, infatti, in tutte le versioni che nel tempo ha avuto la medesima norma (D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 185);
7.6. esula dal concetto di “utilizzo”, e rientra a pieno titolo nell’ambito applicativo del D.Lgs. n. 152 del 2006, lo “smaltimento” definitivo del rifiuto mediante la procedura dell’incenerimento al suolo;
7.7. non rileva, a tal fine, che l’incenerimento venga effettuato direttamente dal produttore, nel luogo di produzione, trattandosi comunque di
forma di autosmaltimento non consentita in assenza, quantomeno, di comunicazione di inizio attività di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 215, e penalmente sanzionata, per i fatti commessi fino alla data di entrata in vigore del citato D.L. n. 136 del 2013, dal D.Lgs. n. 152 del
2006, art. 256, comma 1;
7.8.l’incenerimento al suolo non è nemmeno condotta che possa integrare la “cessazione della qualifica di rifiuto”, presupponendo – quest’ultima – un’operazione di “recupero” del rifiuto e non di “smaltimento” (secondo la definizione datane dall’art. 183, lett. z, riportata sub punto 4.3);
7.9.l’utilizzo del rifiuto deve essere oggetto di rigoroso accertamento;
7.10.la relativa prova non può essere affidata ad usi e consuetudini;
7.11. in ossequio al principio della riserva assoluta di legge in materia penale, e nel rispetto della gerarchia delle fonti (cfr.
artt. 8 e 15 preleggi), gli usi e le consuetudini, se non espressamente richiamati dalla legge, non hanno alcuna efficacia scriminante, tanto meno
limitativa della portata applicativa del decreto, nè possono essere utilizzati per aggirare la necessaria rigorosità della prova dell’utilizzo del rifiuto nella pratica agricola;
7.12. la legge regionale Campania 7 maggio 2006, n 11, come qualunque legge regionale, non può avere efficacia modificativa/abrogativa di una
norma penale;
7.13.peraltro, il suo ambito applicativo (e la ratio della previsione di cui all’art. 6, comma 6, cit., come sopra riportato al punto 4.11) riguarda la
prevenzione degli incendi boschivi, non lo smaltimento dei rifiuti;
7.14. in tale contesto, la denunzia, al Sindaco e al Comando Stazione Forestale competente, è indirizzata ad autorità del tutto diverse ed assolve a finalità del tutto eterogenee rispetto alla comunicazione di cui al D.Lgs. n. 156 del 2002, art. 215, non potendosi ritenere ad essa sostitutiva o
equipollente;
7.15. in ogni caso, il richiamo a tale legge è improprio, disciplinando essa condotte, quali la bruciatura (direttamente sul terreno) delle stoppie,
nonchè la pulizia dei castagneti (mediante bruciatura di piccoli mucchi dei ricci, del fogliame e delle felci), del tutto diverse da quelle oggetto
d’imputazione (grossi falò di potature ed altri residui vegetali non derivanti dalla pulizia di castagneti);
7.16. ciò vale ad escludere qualsiasi riflesso sull’elemento psicologico del reato (pure invocato per ritenere l’assenza di colpa per buona fede);
7.17. a seguito dell’introduzione del delitto di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256 bis, comma 2, la combustione non autorizzata, quale
modalità di smaltimento dei rifiuti dolosamente perseguita all’esito dell’attività di raccolta, trasporto e spedizione, qualifica le corrispondenti
condotte previste dal D.Lgs. n. 152 del 2006, artt. 256 e 259, facendole assurgere a fattispecie autonoma di reato, ancorchè a tali fasi di gestione del rifiuto, prodromiche alla combustione, non segua la combustione stessa;
7.18. il residuo illecito amministrativo di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256 bis, comma 6, ha invece ad oggetto i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali di cui all’art. 184, lett. e), non dunque la paglia, gli sfalci, le potature e il materiale agricolo o forestale non pericoloso di cui all’art. 185, comma 1, lett. f);
7.19. la condotta, però, deve avere ad oggetto rifiuti vegetali abbandonati o depositati in modo incontrollato (tale il senso del richiamo al comma 1), non anche raccolti e trasportati dallo stesso autore della combustione, poichè, in tal caso, la condotta ricadrebbe nella previsione di cui allo stesso art. 256 bis, comma 2, D.Lgs. cit.;
7.20. ne consegue che la condotta di autosmaltimento mediante combustione illecita di rifiuti continua ad avere penale rilevanza.
8. In accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata deve così essere annullata. Gli atti devono essere trasmessi al Tribunale di Avellino per
l’ulteriore corso.

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Combustione illecita di rifiuti: quanto ricorre la sanzione amministrativa

L’illecito amministrativo di cui all’art. 256-bis, comma 6, d.lgs. 152/2006, ha ad oggetto i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali di cui all’art. 184, lett. e), non dunque la paglia, gli sfalci, le potature e il materiale agricolo o forestale non pericoloso di cui all’art. 185, comma 1, lett. f).

La condotta, però, deve avere ad oggetto rifiuti vegetali abbandonati o depositati in modo incontrollato (tale il senso del richiamo al comma 1°), non anche raccolti e trasportati dallo stesso autore della combustione, poiché, in tal caso, la condotta ricadrebbe nella previsione di cui al comma 2° dello stesso art. 256-bis, d.lgs. cit.; ne consegue che la condotta di autosmaltimento mediante combustione illecita di rifiuti continua ad avere penale rilevanza.

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