Al fine di tranquillizzare i lettori diamo subito la risposta alla domanda posta nel titolo di questo articolo: No.
Non tutti i rifiuti pericolosi viaggiano in ADR.
E’ errata convinzione che vi sia una diretta corrispondenza tra i codici CER dei rifiuti pericolosi ed il regolamento ADR.
Le motivazioni che conducono i Produttori di rifiuti ed in alcuni casi anche i trasportatori ad adottare tale convinzione sono molteplici e frutto di diverse situazioni e condizioni che non staremo qui ad illustrare.
E’ importante invece comprendere cosa sia il regolamento ADR, quando esso va applicato e quali sono i punti di collegamento con la gestione dei rifiuti pericolosi (ed in pochi casi anche non pericolosi).
L’ADR è l’Accordo Europeo Relativo al Trasporto Internazionale delle merci pericolose su strada.
Pertanto, come si può ben comprendere, non nasce per la gestione dei trasporti di rifiuti pericolosi ma bensì per il trasporto di merci pericolose. All’interno del novero delle merci vi rientrano anche i rifiuti così come illustrato nelle pagine dell’ADR.
L’accordo originale è stato siglato a Ginevra il 30 Settembre del 1957. In Italia l’accordo è stato ratificato con la legge n.1839 del 12 Agosto 1962; successivamente con il DPR n. 1285 del 3 Luglio 1969, si è data piena e completa esecuzione agli emendamenti all’accordo stesso che sono stati adottati sempre a Ginevra nel 1966.
L’ADR essendo un documento dinamico si evolve e si aggiorna ogni due anni ed è teso a garantire che le merci pericolose, che transitano su strada attraverso differenti Paesi, siano trasportate in modo adeguato al fine di garantire la massima sicurezza.
L’accordo si applica a tutti i trasporti effettuati, anche solo in transito, sul territorio di almeno due Paesi contraenti. L’ADR inoltre specifica quali materie pericolose sono escluse dal trasporto internazionale e quali, invece, sono ammesse a certe condizioni.
Esso è composto da 17 articoli e due allegati. L’Allegato A è composto da 7 parti e l’allegato B da 2 parti.
Se da un lato è vero che l’ADR disciplina il trasporto su strada delle merci pericolose, è bene sottolineare che esso fornisce anche istruzioni per il trasporto in sicurezza di alcuni rifiuti pericolosi. Infatti, leggendo nel dettaglio le disposizioni speciali riportate per i singoli numeri ONU, non è raro imbattersi in istruzioni specifiche nel caso in cui la merce in questione sia un rifiuto e debba essere trasportata presso impianti di recupero.
E’ il caso ad esempio delle batterie al piombo ovvero Accumulatori elettrici riempiti di elettrolita liquido acido N° ONU 2794 per il quale con la disposizione 598 vengono illustrate le istruzioni da adottare nel caso in cui la batteria sia un rifiuto.
Esistono poi anche codici ONU specifici per alcune tipologie di rifiuti. Ad esempio:
N° ONU 1345 – rifiuti di gomma, sotto forma di polvere o di grani
N° ONU 3291 – rifiuti medicali regolamentati
Non entreremo nel dettaglio dell’uso dell’ADR in quanto la letteratura in materia è già vasta e non abbiamo la presunzione di poter descrivere l’uso dell’ADR in un articolo come questo. L’obiettivo che vorremmo invece raggiungere è quello di far comprendere che è importante conoscere cosa sia l’ADR. E’ importante sapere che se i nostri rifiuti pericolosi viaggiassero sempre in ADR, ne scaturirebbero una serie di obblighi e di adempimenti per tutti gli attori della filiera.
Per i Produttori quindi è fondamentale sapere quando i propri rifiuti devono viaggiare in ADR e quando ciò non è obbligatorio.
Ricordiamo infatti che se i rifiuti pericolosi (ed anche le merci pericolose ovviamente) viaggiano in ADR, al Produttore di rifiuti spettano una serie di obblighi, tra i quali:
Nomina di un consulente ADR;
Analisi tecnica del rifiuto al fine di individuare il corretto numero ONU da attribuire (non vi è una tabella che faccia corrispondere ad un codice CER il numero ONU corrispondente)
Acquistare ed utilizzare imballaggi specifici che abbiano i requisiti imposti dall’ADR
Essere certi che il trasportatore sia in possesso dei requisiti e dei mezzi allestiti per il trasporto in ADR
Fornire istruzioni scritte al conducente
Ci si chiede quindi se per il Produttore di rifiuti pericolosi, il trasporto in ADR sia realmente sinonimo di sicurezza.
Voler agire adottando le massime precauzioni può essere certamente lodevole per quel Produttore che vuole porsi in una posizione di sicurezza, ma far trasportare un rifiuto pericoloso in ADR (e quindi indicarlo nel formulario con le dovute annotazioni del caso) e poi non adempiere a tutti gli obblighi imposti dal regolamento, rischiano in realtà di ribaltare completamente la situazione esponendo il Produttore e quindi l’imprenditore, ad un rischio maggiore in caso di controllo o di incidenti.
Inoltre è bene sapere che vi sono dei casi in cui il trasporto di talune merci e rifiuti pericolosi potrebbero usufruire di particolari agevolazioni. Infatti al ricorrere di alcune specifiche condizioni, stabilite nel testo ADR, è possibile effettuare un trasporto in esenzione ADR o in esenzione parziale ADR.
Ma per poter giungere alla corretta definizione di quali siano le corrette condizioni di trasporto di un rifiuto pericoloso è fondamentale svolgere un’attività preliminare di cui abbiamo parlato in questo articolo : La caratterizzazione e la classificazione del rifiuto. Solo a valle di questa attività si avranno informazioni sufficienti per poter comprendere se il rifiuto pericoloso prodotto debba essere trasportato o meno in regime ADR e se può usufruire di qualche agevolazione.
Quindi per poter essere certi se un rifiuto pericoloso è soggetto o meno alla disciplina ADR è importante conoscere sia le disposizioni della normativa ambientale che quelle dell’ADR. Mettendo in correlazione queste informazioni, per il Produttore di rifiuti è possibile sapere se deve adempire ad obblighi ulteriori o se le disposizioni previste dalla disciplina ambientale sono quelle sufficienti da rispettare.
Appare ora forse più chiaro che per poter gestire correttamente i propri rifiuti è necessario che l’impresa si doti di personale qualificato e formato.
Come ben sappiamo, i rifiuti pericolosi sono sempre identificati oltre che dal codice CER da delle caratteristiche di pericolo, in sigla HP. Queste, purtroppo, non sono direttamente correlabili con le classi di pericolo indicate nell’ADR.
Infatti anche se i nomi indicati per le HP e per le classi di pericolo possono sembrare simili in alcuni casi, la ratio alla base della disciplina ambientale e quella dell’ADR inseguono due obiettivi diversi.
Da un lato abbiamo la disciplina ambientale che si pone nell’ottica di individuare i rifiuti e caratterizzarli al fine di gestirli nella piena tutela dell’ambiente, dall’altra l’ADR insegue invece l’obiettivo di effettuare un trasporto di merci pericolose in piena sicurezza tutelando principalmente le persone.
Ciò premesso, per poter verificare se un rifiuto pericoloso è soggetto o meno all’ADR occorre procedere per gradi:
Caratterizzazione del rifiuto
Classificazione del rifiuto
Verifica delle condizioni per le quali il rifiuto potrebbe essere soggetto ad ADR
Individuazione del numero ONU di competenza seguendo le istruzioni dell’ADR
Verificare nell’ADR, capitolo 3.2. tabella A, in funzione del numero ONU individuato, le informazioni concernenti la materia in oggetto.
Verificare attentamente le disposizioni speciali, le quantità limitata ed esenti
Effettuate queste verifiche, il Produttore avrà tutte le informazioni necessarie per sapere se il rifiuto prodotto ricade nella disciplina ADR o meno.
E’ importante sottolineare che la lettura della tabella A del capitolo 3.2 è probabilmente la fase residuale del processo.
Infatti, il passo preliminare è tenere sempre a mente il capitolo 1.1.3 denominato esenzioni. In tale capitolo sono tante le informazioni che possono supportare il Produttore nella prima fase per comprendere se il suo rifiuto sia esentato dalle disposizioni ADR o meno.
Ovviamente queste brevi istruzioni non vogliono in alcun modo essere esaustive nella comprensione ed utilizzo dell’ADR ma vogliono essere un utile spunto al lettore per approfondire la materia o per porre in essere delle nuove modalità di gestione dei propri rifiuti. Avere a disposizione delle nozioni di base permette ad un’impresa di poter fare in autonomia delle valutazioni. Non dimentichiamo inoltre che esiste la figura abilitata del consulente ADR.
Come posso applicare le varie normative in vigore per gestire correttamente i miei rifiuti?
Grazie all’evoluzione normativa a cui abbiamo assistito negli ultimi anni, oggi è più semplice effettuare delle correlazioni, anche se non sempre dirette, tra normativa ambientale, regolamento CLP e disciplina ADR. Ciò è possibile grazie ad un avvicinamento di queste norme che finalmente hanno cominciato a comunicare tra di loro, anche se timidamente. Questo avvicinamento tra tre importanti discipline ha di fatto “semplificato” l’applicazione e l’interpretazione di alcune disposizioni e tale semplificazione ha ovviamente delle ricadute positive su tutti gli attori della filiera.
Un tale avvicinamento normativo però, può dare i suoi frutti solo se siamo in grado di comprendere quali sono i punti di contatto tra le norme e ciò può essere ottenuto solo informandosi, aggiornandosi ed appoggiandosi a consulenti che svolgano il proprio lavoro in modo professionale.
E’ indubbio che voler continuare ad adottare schemi e comportamenti frutti di un passato in cui le norme erano meno precise ed in alcuni casi lacunose non può condurre ad alcun risultato utile per la collettività. Eppure capita spesso di vedere applicate delle prassi o dei comportamenti che dovrebbero essere stati abbandonati tempo fa in favore di sistemi evoluti e più sicuri.
Ma aldilà del porre al riparo da sanzioni l’impresa, quali sono gli altri risvolti importanti di una corretta applicazione delle norme di cui abbiamo parlato? Riteniamo che la tutela dell’ambiente e delle persone siano sicuramente i punti fondamentali ma è anche vero che vi sono degli obblighi morali e ideologici che dovrebbero essere perseguiti.
Ci si chiede infatti quanti abbiano chiaro il significato del principio gerarchico di gestione dei rifiuti. Tale principio è riscontrabile nell’art. 179 del D.Lgs. 152/2006. Spesso tale principio passa inosservato ma è di fondamentale importanza in quanto fornisce alle imprese quali sono, nell’ordine, i possibili destini dei propri rifiuti.
Leggendo l’art. 179 dovrebbe apparirci chiaro che oggi più che mai abbiamo la necessità di far confluire i nostri rifiuti verso impianti specializzati nel riciclaggio ed il recupero.
E’ proprio l’articolo 179 che ci impone di considerare la “discarica” quale “ultima spiaggia”. Prima di giungere ad una tale decisione però dobbiamo aver valutato il riciclaggio ed il recupero dei nostri rifiuti, ed ancor prima di tale decisione le imprese dovrebbero valutare possibili azioni sui loro processi di produzione al fine di ottenere una riduzione della produzione dei rifiuti oppure una riduzione delle pericolosità degli stessi. Quest’ultima ad esempio, potrebbe essere ottenuta variando le materie prime impiegate nei processi.
E’ vero che tali attività sono un costo per l’impresa sia in termini economici che di tempo da dedicare, ma è pur vero che viviamo in un periodo storico in cui la nostra natura consumistica deve lasciare il passo ad una natura più vicina all’ambiente che ci circonda. Tali costi saranno destinati a ridursi e a ripagarsi se ogni impresa avviasse il cambiamento.
Non vogliamo fare filosofia sui cambiamenti climatici, incendi di foreste o di impianti di stoccaggio di rifiuti, ma la realtà è sotto i nostri occhi. Se vogliamo cambiare in meglio le condizioni in cui viviamo ed evolverci verso una società che sia in grado di riciclare al meglio i propri rifiuti per utilizzarli come nuove materie prime, evitando quindi di proseguire nell’estrazione di materie prime dal nostro pianeta, allora è importante compiere il primo passo e comprendere quali tipologie di rifiuti produciamo e soprattutto assicurarci che essi siano conferiti in impianti che possano realmente riciclarli.
Abbiamo coniato il termine “economia circolare” ma forse abbiamo dimenticato che il primo passo da compiere è proprio quello di innescare l’economia circolare ossia avviare negli impianti di recupero i rifiuti differenziati e caratterizzati in maniera corretta.
A molti forse non è noto che ogni impianto è in genere specifico per determinate tipologie di rifiuti. Ogni imprenditore specializza il proprio impianto di trattamento per poche tipologie di rifiuti. Non è possibile immaginare impianti di recupero specializzati nel recupero di tutte le frazioni.
Ciò che spesso accade quindi è che un impianto sia in grado di ricevere le diverse frazioni e di trattarne solo poche. Le restanti frazioni sono quindi mantenute in stoccaggio e successivamente vengono convogliate in altri impianti di recupero. Ciò significa costi di conferimento, di stoccaggio e di trasporto verso l’impianto successivo.
Se noi fossimo in grado di caratterizzare al meglio i nostri rifiuti, in funzione delle quantità e della fattibilità tecnico-economica, potrebbe essere possibile convogliare le varie frazioni in impianti diversi ma specializzati per quella singola frazione.
E’ chiaro che le variabili in gioco sono tante e non sempre un ragionamento come quello appena fatto è applicabile. Di ciò ne siamo consapevoli, ma siamo altresì consapevoli che prendere coscienza del problema è sicuramente un primo passo rispetto al non fare nulla cullandosi nell’idea che ai nostri rifiuti ci penserà il nostro trasportatore di fiducia.
Potrà apparire banale, ma il cambiamento può avvenire solo se iniziamo a cambiare il nostro sistema di vedere e classificare i rifiuti. Un rifiuto può e deve essere considerata una risorsa futura. Una errata classificazione condurrà ad un costo di recupero/smaltimento più alto (danno per l’imprenditore) ed un errato conferimento in impianto che non sarà in grado di garantire il recupero del rifiuto (danno per l’ambiente).
Se da un lato abbiamo l’economia circolare, ci piace pensare che prima di essa ci debba essere il pensiero circolare.