I residui di demolizione non sono sottoprodotti

L’attività di demolizione di un edificio non può essere definita un «processo di produzione» quale quello indicato dal d. lgs. n. 152/2006, art. 184-bis, co. 1, lett. a) per i sottoprodotti, con la conseguenza che i materiali che ne derivano vanno sempre classificati come rifiuti e non come sottoprodotti. Essi infatti derivano dalla demolizione di un edificio, che non costituisce un processo di produzione.

Cass. pen., sentenza del 28.07.2015

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Come qualificare il calcestruzzo in esubero, che torna nello stabilimento di produzione

calcestruzzoCostituisce attività di recupero il trattamento di materiale proveniente da pregresse forniture di calcestruzzo alla clientela e dalle operazioni di lavaggio delle betoniere e delle pompe, perché si tratta di rifiuto e non di sottoprodotto. Il materiale di cui si discute è quello che rientra nello stabilimento dopo la consegna alla clientela e che viene definito con espressioni quali “calcestruzzo in esubero”. Si tratta, dunque, di materiale che, ricavato dal processo produttivo, viene poi trasportato all’esterno dello stabilimento e consegnato al cliente. All’esito della consegna la betoniera rientra nello stabilimento, dove il materiale viene sottoposto a successivo trattamento. Tale materiale assume la natura di vero e proprio rifiuto nel momento in cui l’acquirente/destinatario della consegna non lo riceve, lasciandolo al trasportatore e manifestando così, inequivocabilmente, l’intenzione di disfarsene, certamente rilevante, atteso che, come è noto, secondo la definizione datane nel D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, comma 1, lett. a), nell’attuale formulazione, deve ritenersi rifiuto “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi”. La Corte precisa, altresì, che, pur volendo ipotizzare una diversa situazione, nella quale il prodotto non entra di fatto nella disponibilità del cliente, che si limita a ricevere il solo quantitativo esatto di calcestruzzo necessario alle sue esigenze e, conseguentemente, non se ne disfa, deve osservarsi che detto materiale, nel momento in cui rientra nello stabilimento, non sembra mantenere la “stessa natura del calcestruzzo prodotto e caricato sul mezzo di trasporto”, perché, se così fosse, non si spiegherebbe per quale motivo non venga nuovamente commercializzato anziché essere sottoposto ad uno specifico trattamento (di separazione dell’acqua e del cemento dagli aggregati ovvero di frantumazione del materiale dopo l’essiccazione) prima di essere reimpiegato per la produzione di altro calcestruzzo.

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Per la localizzazione delle singole opere non è necessaria la VAS, fermo restando la VIA

Il piano non è una trama ricostruttiva che serve a cogliere il collegamento esistente tra un insieme di elementi singoli, ma un atto amministrativo, in cui si esterna l’impegno programmatico della pubblica amministrazione in un determinato settore ed è il derivato principale del principio della necessaria predeterminazione dell’attività amministrativa. Resta, in ogni caso, che quando gli aspetti pianificatori e quelli progettuali si intersecano, come nel caso di approvazione con conferenza localizzativa di progetti di opere, il problema della sovrapposizione di VAS e VIA è direttamente risolto dall’art. 6 comma 12, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, il quale ha stabilito che “ferma restando l’applicazione della disciplina in materia di VIA, la valutazione ambientale strategica non è necessaria per la localizzazione delle singole opere”.

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