Rifiuti assimilati agli urbani

Occorre preliminarmente osservare come il tema della assimilabilità dei rifiuti speciali a quelli urbani ha costituito, negli ultimi decenni, un vero e proprio tormentone, ed ancora oggi presenta lati assolutamente controversi, in un contesto ancora fortemente interlocutorio.
Il concetto di assimilazione nasce, in sostanza, con l’art. 4 del D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, ma è l’art. 60 del D.Lgs. 14 dicembre 1993, n. 507, a stabilire che i rifiuti urbani derivanti da attività artigianali, commerciali e di servizi potevano essere assimilati ai rifiuti solidi urbani conapposito regolamento comunale, in rapporto alla quantità ed alla qualità dei rifiuti stessi e del  relativo costo di smaltimento.
Successivamente, l’art. 39 della legge 22 febbraio 1994, n. 146, ha assimilato, ope legis, tutti i rifiuti speciali, in specie quelli indicati al n. 1, punto 1.1.1, lett. a) della deliberazione del 27 luglio 1984 del Comitato Interministeriale per i rifiuti di cui all’art. 5 del D.P.R. n. 915/1982, a quelli urbani, rendendo del tutto inoperanti le assimilazioni prodotte dai regolamenti comunali precitati.
Tale norma è stata però espressamente abrogata con l’art. 17, comma 3, della legge 24 aprile 1998, n. 128, la legge comunitaria 1995-1997, dopo che, con l’entrata in vigore del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, il “decreto Ronchi”, è stato fissato il regime di privativa a favore dei Comuni per la gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati. La definizione di rifiuti speciali è contenuta nell’art. 7, comma 3, del Decreto Ronchi, mentre l’assimilazione è demandata, per qualità e quantità dei rifiuti speciali non pericolosi, ai fini della raccolta e dello smaltimento, ad appositi regolamenti, a norma dell’art. 21, comma 2, lett. g), dello stesso decreto. Tra i rifiuti 2-6 speciali sono palesemente catalogati quelli provenienti da attività agricole, da lavorazioni industriali, da lavorazioni artigianali, da attività commerciali, da attività di servizio.
La materia si è ulteriormente evoluta con l’emanazione del Testo Unico Ambientale approvato con D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, il quale:
– all’art. 184, comma 3, ristabilisce la catalogazione dei rifiuti speciali, per altro confermando nella sostanza il disposto del precitato art. 7 del Decreto Ronchi;
– all’art. 198, comma 1, dispone che “i Comuni concorrono alla gestione dei rifiuti urbani ed assimilati” e continuano la gestione fino al passaggio della gestione alle Autorità d’ambito (per altro in odore di soppressione in sede di conversione in legge del D.L. n. 2/2010!).
– all’art. 198, comma 2, dispone che i Comuni concorrono a disciplinare la gestione dei rifiuti urbani, stabilendo in particolare, al punto g), “l’assimilazione, per qualità e quantità dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani, secondo i criteri di cui all’art. 195, comma 2, lett. e), ferme le definizioni di cui all’art. 184, comma 2, lett. c) e d)”, queste ultime riferite ai rifiuti da lavorazioni industriali e da attività commerciali.
– all’art. 195, comma 2, lett. e), nel testo riscritto dall’art. 2, comma 26, lett. a), del D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, stabilisce che sono di competenza dello Stato “la determinazione dei criteri qualitativi e quali-quantitativi per l’assimilazione, ai fini della raccolta e dello smaltimento, dei rifiuti speciali e dei rifiuti urbani”. Come a dire che i criteri sono determinati dallo Stato, mentre le assimilazioni analitiche competono ai regolamenti comunali, beninteso all’interno dei principi statali. Tali criteri per l’assimilabilità ai rifiuti urbani dovevano essere definiti con decreto del
Ministro dell’Ambiente entro novanta giorni, ma, al momento, non si ravvisa ancora alcuna traccia del medesimo.

E’ appena il caso di sottolineare come, in sua assenza, e quindi “nelle more della completa attuazione delle disposizioni recate dal D.Lgs. n. 152/2006”, “in materia di assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani, continuano ad applicarsi le disposizioni degli articoli 18, comma 2, lett. d), e 57, comma 1, del D.Lgs. n. 22/1997”, come stabilito dall’art. 1, comma 184, lett. b) della Finanziaria 2007, la legge 27 dicembre 2006, n. 296. In sostanza si continuano ad applicare gli indirizzi forniti con la precitata deliberazione del Comitato interministeriale per i rifiuti del 27 luglio 1984.
Lo stesso art. 195, comma 2, lett. e), si spinge, per altro, ben più avanti. Stabilisce infatti che ai rifiuti assimilati, entro due anni (termine più volte prorogato, ed ancora soggetto a proroga), si applica esclusivamente una tariffazione per le quantità conferite al servizio di gestione dei rifiuti urbani, stabilendo anche i principi di applicazione e di riduzione.
Ed ancora, stabilisce che “non sono assimilabili ai rifiuti urbani i rifiuti che si formano nelle aree produttive, compresi i magazzini di materie prime e di prodotti finiti, salvo i rifiuti prodotti negli uffici, nelle mense, negli spacci, nei bar e nei locali al servizio dei lavoratori o comunque aperti al pubblico; allo stesso modo, non sono assimilabili ai rifiuti urbani i rifiuti che si formano nelle strutture di vendita con superficie due volte superiore ai limiti di cui all’articolo 4,
comma 1, lettera d), del decreto legislativo n. 114 del 1998”. In quanto non assimilabili, i rifiuti che si formano nelle aree produttive, salve le eccezioni sopra elencate, sfuggono dunque al regime transitorio e si pongono decisamente al di fuori della privativa comunale. Non sono, di conseguenza, soggetti né alla Tarsu, né alla TIA.
La qual cosa non significa, per altro, che i rifiuti stessi non possano essere conferiti ai soggetti che gestiscono il servizio pubblico di raccolta dei rifiuti urbani, ma, come stabilisce l’art. 188, comma 2, lett. c), del D.Lgs. n. 152/2006, la remunerazione del servizio deve essere assicurata attraverso apposita convenzione, e quindi attraverso un canone o una tariffa rapportata prevalentemente ai volumi o ai pesi conferiti, e non già con l’applicazione di gravame tributario,
sia esso la Tassa Smaltimento Rifiuti ovvero la Tariffa di Igiene Ambientale, rapportati in via principale alla superficie. Il gravame tributario è invece ancora possibile per i rifiuti prodotti negli uffici, nelle mense, negli spacci, nei bar e nei locali al servizio dei lavoratori e comunque aperti al pubblico, quando gli stessi sono conferiti al servizio pubblico di raccolta dei rifiuti urbani.
Ma l’art. 195, comma 2, lett. e), va ancora oltre. E stabilisce che “per gli imballaggi secondari e terziari per i quali risulti documentato il non conferimento al servizio di gestione dei rifiuti urbani e l’avvio a recupero e riciclo diretto tramite soggetti autorizzati, non si applica la predetta tariffazione” (quella che si applicherà dopo che saranno determinati i criteri di assimilazione da parte dello Stato). Vale a dire che per gli imballaggi secondari e terziari è, in ogni caso consentito, ai soggetti imprenditori il conferimento diretto a soggetti autorizzati, beninteso diversi dal soggetto che gestisce il servizio pubblico di raccolta dei rifiuti urbani. Ne consegue che i locali e le superfici ove sono prodotti non sono soggetti, come più sopra detto, a Tarsu o a TIA:
La catalogazione degli imballaggi è contenuta nell’art. 35 del Decreto Ronchi, il D.Lgs. n. 22/1997, il quale stabilisce, al comma 1, lett. c), che l’imballaggio secondario, o multiplo, è concepito in modo da costituire nel punto di vendita il raggruppamento di un certo numero di unità di vendita sia per l’utente finale che per il consumatore, mentre alla lett. d) stabilisce che l’imballaggio terziario, o per il trasporto, è concepito in modo da facilitare la manipolazione ed il
trasporto di un certo numero di unità di vendita.
Da tutto quanto precede, ed in relazione alla specificità del quesito, si può dunque ricavare che:
– sono rifiuti speciali quelli derivanti da attività agricole, da lavorazioni industriali, da lavorazioni artigianali, da attività commerciali e di servizio, come stabilisce l’art. 184, comma 3, del D.Lgs. n. 152/2006;
– non sono assimilabili ai rifiuti urbani i rifiuti che si formano in aree produttive, compresi i magazzini di materie prime e di prodotti finiti, salvo i rifiuti prodotti negli uffici, nelle mense, negli spacci, nei bar e nei locali al servizio dei lavoratori o comunque aperti al pubblico; allo stesso modo, non sono assimilabili ai rifiuti urbani i rifiuti che si formano nelle strutture di vendita con superficie due volte superiore ai limiti di cui all’articolo 4, comma 1, lettera d), del decreto legislativo n. 114 del 1998, come stabilisce l’art. 195, comma 2, lett. e), quinto periodo, del D.Lgs. n. 152/2006;
– ai rifiuti che saranno dichiarati assimilati verrà applicata una nuova tariffazione per le quantità conferite al servizio di gestione dei rifiuti urbani, secondo regole fissate dalle amministrazioni comunali, nel rispetto dei criteri già dettati dallo stesso art. 195, comma 2, lett. e), secondo, terzo e quarto periodo, del D.Lgs. n. 152/2006, anche se permangono ampie perplessità sulla puntuale applicabilità di tali norme.
– la stessa tariffazione non si applica, e non si applicano né la Tarsu, né la TIA, per gli imballaggi secondari e terziari per i quali risulti documentato il non conferimento al servizio di gestione dei rifiuti urbani e l’avvio a recupero e riciclo diretto tramite soggetti autorizzati, secondo quanto dispone lo stesso art. 195, comma 2, lett. e), sesto periodo, del D.Lgs. n. 152/2006.
Tali asserzioni diventeranno definitive quando avranno completa attuazione le norme recate dal D.Lgs. n. 152/2006. In particolare dopo l’emanazione del decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, d’intesa con il Ministro dello sviluppo economico, con il quale saranno definiti i criteri per l’assimilabilità ai rifiuti urbani. Il decreto avrebbe dovuto essere pubblicato entro novanta giorni, come stabilito dall’ultimo periodo della lett. e) del
comma 2 dell’art. 195 più volte citato, ma, al momento, risulta ancora ingabbiato nella più vasta problematica del sistema ambientale che, a cavallo di maggioranze parlamentari diverse e diversamente orientate sul tema, a cavallo della riforma delle autonomie, nella fase di rodaggiodel federalismo fiscale, non ha ancora trovato una risposta definitiva alla permanenza delle Autorità d’Ambito, alla nuova tariffa ambientale prevista dall’art. 238 del D.Lgs. n. 152, alle problematiche provenienti dalla sentenza della Corte Costituzionale che ha definito la natura
tributaria della TIA, alla disciplina dei rifiuti speciali, assimilati e non. Resta da notare come lacarenza di definizione dei criteri di assimilazione renda, di fatto, inapplicabile anche la nuova tariffa prevista per i rifiuti assimilati dal secondo periodo della ricorrente lett. e), ancorché il termine di stand by, stabilito e successivamente prorogato fino a due anni, sia ormai scaduto nello scorso mese di febbraio. E’ quindi auspicabile un sollecito intervento del legislatore che proroghi ulteriormente il termine scaduto il 13 febbraio, magari fino al 31 dicembre 2010, in modo da consentire agli enti una gestione corretta fin dall’inizio dell’esercizio. Sarebbe altrettanto auspicabile che il legislatore facesse coincidere l’entrata in vigore della nuova tariffa per i rifiuti speciali assimilati di cui al D.Lcs. n. 4/2008 con la tariffa per i rifiuti urbani e per quelli speciali non assimilati di cui all’art. 238 del D,Lgs. N. 152/2006.
Per i rifiuti di imballaggi secondari e terziari, in ogni, non è consentita l’assimilabilità e non si sconta quindi il regime transitorio riservato invece ai rifiuti speciali assimilabili agli urbani delle mense, degli uffici, eccetera.
Ne conseguono, in rapporto puntuale al quesito posto dal Comune istante, due ipotesi.
La prima riguarda i produttori di tali rifiuti che optano per il NON conferimento degli imballaggi a soggetti autorizzati. In questo caso i produttori stessi non vanno soggetti ad alcuna imposizione da parte dell’ente comunale o del gestore del servizio pubblico.
La seconda riguarda i produttori di tali rifiuti che optano per il conferimento degli imballaggi al servizio pubblico di raccolta dei rifiuti urbani, a sensi dell’art. 188, comma 2, lett. c), del D.Lgs. n. 152/2006, in quanto rifiuti speciali a tutti gli effetti e non assimilabili agli urbani. In questo caso la remunerazione del servizio avverrà attraverso apposita convenzione, che fisserà i termini del servizio ed il correlato corrispettivo, soggetto naturalmente ad Imposta sul Valore Aggiunto, in regime di libera concorrenza, fuori dai canoni e dalle regole della TIA o della Tarsu.
Semprechè il soggetto gestore della raccolta dei rifiuti urbani sia abilitato anche alla raccolta dei rifiuti speciali.
La riorganizzazione del servizio dovrà dunque tenere conto delle evenienze sopra illustrate e dovrà essere dimensionato alle quantità e qualità degli imballaggi conferibili dagli utenti/clienti, non più contribuenti, che abbiano optato per il servizio comunale.

Fonte; www.regione.piemonte.it

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Mariano Fabris

Consulente e Resp. Tecnico in Materia di Gestione Rifiuti Cat 1,4,5,8 Preposto per il Trasporto Nazionale e Internazionale su strada di Merci.

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