Costituisce attività di recupero il trattamento di materiale proveniente da pregresse forniture di calcestruzzo alla clientela e dalle operazioni di lavaggio delle betoniere e delle pompe, perché si tratta di rifiuto e non di sottoprodotto. Il materiale di cui si discute è quello che rientra nello stabilimento dopo la consegna alla clientela e che viene definito con espressioni quali “calcestruzzo in esubero”. Si tratta, dunque, di materiale che, ricavato dal processo produttivo, viene poi trasportato all’esterno dello stabilimento e consegnato al cliente. All’esito della consegna la betoniera rientra nello stabilimento, dove il materiale viene sottoposto a successivo trattamento. Tale materiale assume la natura di vero e proprio rifiuto nel momento in cui l’acquirente/destinatario della consegna non lo riceve, lasciandolo al trasportatore e manifestando così, inequivocabilmente, l’intenzione di disfarsene, certamente rilevante, atteso che, come è noto, secondo la definizione datane nel D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, comma 1, lett. a), nell’attuale formulazione, deve ritenersi rifiuto “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi”. La Corte precisa, altresì, che, pur volendo ipotizzare una diversa situazione, nella quale il prodotto non entra di fatto nella disponibilità del cliente, che si limita a ricevere il solo quantitativo esatto di calcestruzzo necessario alle sue esigenze e, conseguentemente, non se ne disfa, deve osservarsi che detto materiale, nel momento in cui rientra nello stabilimento, non sembra mantenere la “stessa natura del calcestruzzo prodotto e caricato sul mezzo di trasporto”, perché, se così fosse, non si spiegherebbe per quale motivo non venga nuovamente commercializzato anziché essere sottoposto ad uno specifico trattamento (di separazione dell’acqua e del cemento dagli aggregati ovvero di frantumazione del materiale dopo l’essiccazione) prima di essere reimpiegato per la produzione di altro calcestruzzo.
Per la localizzazione delle singole opere non è necessaria la VAS, fermo restando la VIA
Il piano non è una trama ricostruttiva che serve a cogliere il collegamento esistente tra un insieme di elementi singoli, ma un atto amministrativo, in cui si esterna l’impegno programmatico della pubblica amministrazione in un determinato settore ed è il derivato principale del principio della necessaria predeterminazione dell’attività amministrativa. Resta, in ogni caso, che quando gli aspetti pianificatori e quelli progettuali si intersecano, come nel caso di approvazione con conferenza localizzativa di progetti di opere, il problema della sovrapposizione di VAS e VIA è direttamente risolto dall’art. 6 comma 12, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, il quale ha stabilito che “ferma restando l’applicazione della disciplina in materia di VIA, la valutazione ambientale strategica non è necessaria per la localizzazione delle singole opere”.
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Eco-Compattatori privati presso la grande distribuzione. Devono essere autorizzati?
Raccolta differenziata di plastica o lattine da soggetti privati presso i supermercati del territorio.
Ci viene posta una domanda da un nostro utente, in merito alla collocazione degli eco-compattatori presso i supermercati o centri commerciali.
Innanzitutto bisogna precisare che la raccolta del rifiuto domestico è e rimane di privativa comunale, ai sensi dell’articolo 198 comma 1 del D.Lgs 152/2006
Risultano indispesabili al Comune stesso per il raggiungimento delle percentuali di raccolta differenziata e riciclaggio. Essi costituiscono rifiuti domestici ai sensi dell’articolo 184 comma 2 lettera a) del medesimo decreto, in quanto provenienti da locali adibiti ad uso di civile abitazione.