La Corte Costituzionale ha affermato che i principi di autosufficienza e prossimità, in diretta attuazione dei quali sono definiti ambiti territoriali ottimali per le tutte le attività connesse alla gestione dei rifiuti, sono cogenti esclusivamente per quanto concerne lo smaltimento ed il recupero dei rifiuti urbani, ma non già per le medesime attività riguardanti i rifiuti speciali, perché per questa tipologia di rifiuti occorre avere riguardo alle relative caratteristiche ed alla conseguente esigenza di specializzazione nelle operazioni di trattamento dello stesso. Vero è però che nelle norme si rinviene una linea di politica legislativa favorevole ad una rete integrata di impianti appropriati, atta a garantire lo smaltimento dei rifiuti speciali in prossimità al luogo di produzione, ma senza che ciò possa tradursi in un divieto: ed infatti “nella disciplina statale l’utilizzazione dell’impianto di smaltimento più vicino al luogo di produzione dei rifiuti speciali viene a costituire la prima opzione da adottare, ma ne «permette» anche altre”. Consiglio di Stato, sentenza del 23 marzo 2015
Autore: Salvatore Casarrubia
Scarti di origine animale: rimangono, quasi sempre, rifiuti
Perché gli scarti di origine animale siano sottratti al regime dei rifiuti ed assoggettati al regolamento CE n. 1774/2002, occorre che essi siano qualificabili come sottoprodotti ai sensi del TUA; nei casi in cui il produttore se ne sia disfatto per destinarli allo smaltimento, essi restano assoggettati alla disciplina sui rifiuti. Si potrebbe allora pensare che, se destinati ad essere trasformati in farine animali, potrebbero esserci gli estremi per qualificarli come sottoprodotti. “Ma quel che è certo è che, una volta che da parte dei vari macelli gli scarti animali venivano consegnati alla società …, la finalità perseguita era quella dello smaltimento anche se, oltre allo smaltimento avveniva poi un ulteriore processo di trasformazione che non era incluso nella destinazione originaria perseguita dalle ditte che avevano operato la macellazione. Ed è proprio questa la ragione per la quale tali scarti non possono rientrare -come preteso dal ricorrente – nella categoria dei sottoprodotti”. Cass. pen. sentenza del 15.01.2015
Sottoprodotti: quando si ha certezza del riutilizzo?
È prevalente la qualifica di sottoprodotto rispetto a quella di rifiuto quando vi sia la certezza che la sostanza sarà utilizzata nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi. La certezza dell’impiego da parte di terzi in un separato ciclo produttivo può derivare anche dal fatto che per la sostanza esista un mercato o una domanda, condizione che in base all’art. 184-ter comma 1-b del Dlgs. 152/2006 concorre a determinare la perdita della qualità di rifiuto. È evidente, infatti, che il produttore del rifiuto, quando vi sia un soggetto disposto ad acquistare o a ritirare questa sostanza come combustibile, non ha più l’esigenza di sbarazzarsene come rifiuto (TAR Lombardia, sentenza dell’8 aprile 2015). Si tratta di una conclusione tanto interessante quanto, v’è da ritenere, non condivisa dalla Suprema Corte di Cassazione per la quale il fatto che il rifiuto abbia un mercato non ne esclude la qualifica.
Ecoreati e nuove regole per la classificazione dei rifiuti
Diverse sono le novità da segnalare nel campo della legislazione ambientale: ecoreati, nuove regole per la classificazione dei rifiuti, bonifica siti contaminati e verifica di assoggettabilità a VIA. Sul piano della prassi applicativa continua il dibattito sui sottoprodotti (a quali condizioni non si scivola nel girone dei rifiuti), con prese di posizioni, tra la giurisprudenza amministrativa e quella penale, non sempre coincidenti, a beneficio dell’esigenza di certezza delle regole per tutti gli operatori del settore.